The Great Debt of the American Fortress

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La guerra mondiale dei debiti sinora è stata essenzialmente una guerra di posizione, che ha interessato solo marginalmente le grandi potenze. Infatti, per il momento i più cruenti spargimenti di sangue hanno toccato quasi esclusivamente le periferie: le compromesse trincee di Grecia, Portogallo e Irlanda, gli avamposti pericolanti di Spagna e Italia e forse tra non molto anche la Francia, quando sarà chiaro che Parigi non ce la farà a rispettare il Fiscal Compact.

L’economia col più alto debito pubblico e privato del mondo in valore assoluto, quella americana, sembra per ora al riparo, arroccata nel suo quartier generale, ben difeso da tre pilastri: forza strategico-militare, dollaro come unità di conto mondiale e quantitative easing. Grazie alle debolezze dell’Europa, gli Usa sono riusciti perfino a far dimenticare ai mercati ed ai loro analisti che il contagio finanziario è partito proprio dalle bolle tossiche di Wall Street.

Allo stesso modo, sono al riparo dal fuoco la Germania, che pure ha il secondo più alto debito pubblico e il terzo debito privato in valore del mondo occidentale, ed anche la Gran Bretagna, che, sempre dell’Occidente, ha il secondo debito privato e tra un paio d’anni, andando avanti con i deficit attuali, avrà anche il terzo debito pubblico più alto in valore, ex aequo con l’Italia (non più pecora nera ma inter pares) e la Francia.

Sicché, anche se può apparire paradossale, i tre big del debito aggregato del mondo occidentale (Usa, Germania e Gran Bretagna) per il momento pagano tassi di interesse ai minimi storici, come se la guerra finanziaria finora li avesse beneficiati più che colpiti o minacciati. Mentre negli avamposti dell’Eurozona lasciati a se stessi di Spagna e Italia i tassi ballano pericolosamente vicini ai limiti della sostenibilità e nei tre piccoli paesi “periferici” più deboli gli interessi sui titoli di stato si sono impennati ormai da mesi fuori di ogni scala.

Eppure sono lontani i tempi in cui, Giappone a parte (che è un caso particolare perché indebitato soprattutto con se stesso), gli unici debiti pubblici gravi del mondo erano considerati quelli dell’Italia e del Belgio e nessuno pensava nemmeno lontanamente che il debito privato avrebbe mai potuto costituire un problema serio. Oggi, invece, tutte le economie dell’Occidente sono zavorrate di debiti, sia pubblici sia privati (dei quali ultimi solo tardivamente si è compresa la pericolosità e la rapida trasformabilità in debito sovrano, come dimostra anche l’escalation del caso spagnolo). Ma, ciò nonostante, solo alcuni Paesi piccoli (a cominciare dalla Grecia), medi (la Spagna) e la solita Italia, col perenne marchio di inaffidabilità che ingiustamente (ormai) il nostro Paese si porta addosso, sono sotto il tiro incrociato del downgrading, della speculazione, dei disinvestimenti e del rischio di fuga di capitali.

Finché le grandi potenze debitrici riusciranno a confondere le idee dei mercati e degli investitori sulla reale sostenibilità dei loro debiti, il fuoco le risparmierà ed esse continueranno a lucrare sui disinvestimenti dagli altri Paesi. Ma il momento della verità potrebbe essere vicino e a quel punto o la guerra toccherà anche i big o essi, volendo evitarla, saranno costretti a dar vita ad una sorta di moratoria generale sui debiti (inclusi i propri), facendo terminare il fuoco della speculazione che sin qui ha attaccato solo i pesci piccoli.

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