Romney: Tempted by Condoleeza, the Female and Black Votes

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WASHINGTON – Nell’ acqua morta dell’ estate preelettorale americana il suo nome piomba come un sasso: arriva lei, “Condi” per gli amici, “Leeza” per Gheddafi che la venerava in un album segreto con decine di sue foto. Piomba Condoleezza Rice a salvare la pallida candidatura di Mitt Romney. Nella vuota stagione politica che va dalla fine dell’ orgasmo delle primarie alle Convention di fine agosto e settembre, quando gli americani preferiscono il languore dei weekend alle pantomime politiche, il nome di Condoleeza Rice come possibile vice presidente è un’ evidente operazione per strappare almeno uno sguardo su Mitt Romney, in crisi nei sondaggi contro Obama. Lo lancia infatti un sito di destra, tradizionale motore di propaganda repubblicana e anti obamiana, il Drudge Report celebre per sensazionali scoop – anticipò il caso Lewinsky – e altrettanto sensazionali bufale – annunciò trionfalmente che la riforma obamiana della sanità era stata bocciata dalla Corte Suprema. Il nome dell’ algida, preparatissima e riservatissima professoressa dell’ Università di Stanford, sarebbe entrato di forza nella “lista corta” dei quattro o cinque personaggi che il vincitore della primarie repubblicane, Mitt Romney, ha stilato, non soltanto per il suo curriculum stellare, ma per l’ ovvia, fin troppo ovvia, funzione di “twofer”, come si dice segretamente nel cinico gergo degli uffici del personale, di una persona che fa per due e copre la necessità di assumere una donna e un afroamericano, al prezzo di uno. Romney, l’ uomo dell’ establishment, della “casta” finanziaria al quale gli elettori repubblicani si sono rassegnati come un tempo le signorine di buona famiglia si piegavano al marito scelto per interesse, continua a non essere amato. “Condi” potrebbe essere la scintilla capace di provocare, se non proprio passione, almeno qualche brivido di simpatia. Ma con tutta la sua formidabile preparazione accademica, la sua encomiabile storia personale e di servizio nel governo ai massimi livelli, la ormai quasi sessantenne figlia del più profondo e torvo Sud, è del 1954, non è mai stata il tipo di persona capace di sollevare passioni ed entusiasmi. Ha sempre ripetuto di non avere mai voluto incarichi elettivi, che costringono comunque a campagne elettorali e «concorsi di bellezza». Rifiutò persino di candidarsi alle presidenza del corpo studentesco nella sua università di Denver, dove il padre, John Wesley Rice, insegnante e ministro della chiesa Presbiteriana, era vice preside. E anche in questo caso lei smentisce un interesse, come tanti futuri vicepresidenti hanno fatto prima di lei. In una vita dedicata a quello che lei stessa definì l’ «overachievement», andare oltre le attese, la Rice, pungolata dalla madre maestra di pianoforte che scelse il nome dal linguaggio musicale italiano «Con Dolcezza», fu condannata giovanissima a una vita da prima della classe. Pianista e concertista in pubblico a sei anni, come Mozart anche senza averne il talento («suonavo bene, ma non ero una pianista»), pattinatrice su ghiaccio da competizione, scolaretta che faceva le classi due alla volta, sempre impeccabilmente vestita anche prima di scoprire da adulta i prediletti completi di Armani, la bambina cresciuta nell’ orrido crogiolo segregazionista di Birmingham, in Alabama, sapeva di non avere altra scelta, da nera e da femmina, che essere la migliore per essere considerata umana. Due della bambine dilaniate dalla bomba del KKK in una chiesa di Birmingham erano compagne di scuola. Il resto della sua vita, sull’ onda di studi e specializzazioni apparentemente poco femminili – la sua passione era la Guerra Fredda e la sua tesi di dottorato coprì un arcano soggetto da iperspecialisti, il rapporto fra il regime Cecoslovacco e le forze armate – si svolse, per decenni, alla luce delle cronache. Da democratica divenne repubblicana. All’ Università di Stanford, nel 1985, dove insegnava fu notata da un generale, Brent Scowcroft che sarebbe divenuto uno dei massimi “consigliori” strategici dei Bush, padre e figlio, alla Casa Bianca. La portò a Washington. Sempre nubile dunque banalmente associata alle voci che vogliono lesbica ogni donna autorevole e non sposata, la sua ascesa cominciò. Siti di estrema sinistra, dove è odiata, la affiancarono a una collega di Stanford, la documentarista Randy Bean, ma la coppia apparve subito più un’ operazione di ridicolo da Internet che una notizia seria, significando la coppia “Rice and Bean”, riso e fagioli. «Non ho semplicemente mai trovato un uomo da sposare», tagliò corto lei intervistata in un talk show «né ragioni per avere figli». La sua gratificazione massima, finora, furono gli incarichi nella Casa Bianca di George il Giovane, al quale aveva fatto da badante in politica estera. Divenne consigliere per la sicurezza nazionale e poi segretario di stato, la seconda donna, dopo Madeleine Albright in quella poltrona, e la seconda di origine africana, dopo Colin Powell. L’ ipotesi che possa essere lei la vittima designata da Mitt Romney per il proprio “ticket”, nel tandem elettorale è affascinante, anche se un po’ disperata. Il tentativo di guadagnare consensi, con gli elettorati meno favorevoli ai repubblicani, donne e afro, appunto attraverso la donna “twofer”, due al prezzo di uno è fin troppo sfacciato, ma in politica spesso l’ ovvietà paga. In estate, tutto è ipotizzabile senza grandi rischi e il nome della donna che Gheddafi adorava («Leeza, mia Leeza» annotava in calce all’ album delle sue foto trovate dai ribelli)ea D’ Alema non dispiaceva, vale come un altro e fa parlare. Non può ancora pretendere di avere una portaerei nucleare battezzata con il proprio nome, come il suo primo mentore, George Bush il Vecchio, ma la Chevron le ha dedicato una superpetroliera, la «SS Condoleezza Rice». Stazza 165 mila tonellate, un po’ troppe per lei che mantiene una linea perfetta. –

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