Obama Reinvents the Wheel: Oust the Casalesi from the US Financial System

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Obama scopre l’acqua calda: fuori i Casalesi dal sistema finanziario Usa. Excuse me mr Obama: ‘ndrangheta e Cosa nostra?

C’è qualcosa che mi sfugge nell’enfasi che è stata rivolta alla messa al bando dei Casalesi da parte del Dipartimento del Tesoro statunitense (al fondo dell’articolo riporto la traduzione del testo originale). Fuori i loro soldi sporchi e al bando chi fa affari con loro. Sanzioni per tutti come se piovesse.

Mah! Non riesco a capire l’eccitazione per una cosa logica: quale Stato sovrano che si rispetti potrebbe tollerare l’inquinamento mafioso delle proprie falde democratiche?

Mah! Non riesco a capire l’eccitazione per una cosa normale. La notizia – per assurdo – sarebbe stata l’apertura ai capitali sporchi dei camorristi.

Si obietta: ma è fondamentale che uno Stato come gli Usa prendano pubblicamente posizione per denunciare la forza corruttrice della criminalità campana. Scusate cari obiettori ma a vostro giudizio bisogna prendere pubblicamente posizione contro i capitali sporchi per essere credibili? Non basta una Costituzione? Non basta l’azione della magistratura? Non basta la vigilanza della società civile? Non basta l’azione preventiva e repressiva quotidiana? Non basta l’allerta – che si traduce in leggi – del Parlamento?

Mah! Non riesco proprio a capire un’enfasi che suona come un atto dovuto per dire: ci siamo. Ci siamo accorti che i Casalesi, come la Yazuka giapponese fa tanta bua ai nostri mercati. Bene, bravi, bis, ma in questo ricordate, cari politici americani, quelli italiani che scoprono il marcio dopo che le Istituzioni sono già sfaldate dall’interno da anni. Insomma una scoperta – gridata ai quattro venti – in ritardo.

So benissimo che la politica è l’arte della contingenza ma ambirei tanto ad una politica dell’analisi preventiva, soprattutto quando proviene da chi guida – come gli Usa – le democrazie occidentali. Il faro delle democrazie.

Ma so altrettanto bene che in materia di trasparenza finanziaria gli americani hanno sì da insegnare per rigore e polso fermo ma – chissà perchè – sempre dopo che gli scandali sono scoppiati (do you remember Enron?)

E poi mi domando: i Casalesi sì e ‘ndrangheta e Cosa nostra no?

Ricordo agli stessi statunitensi che

dell’importanza su scala planetaria del ruolo di gestione della ‘ndrangheta nel narcotraffico se ne accorsero già 5 anni fa. Il Governo degli Stati Uniti annunciò pubblicamente il 1° giugno 2008 di inserire la ‘ndrangheta calabrese nella black list dei gruppi e degli individui ai quali è possibile applicare le sanzioni finanziarie previste dal Foreign narcotics designation Act del 1999 dediti al narcotraffico.

E Cosa Nostra? Senza ricorrere al passato andiamo alla storia contemporanea.

L’indagine convenzionalmente denominata Paisan Blues ha portato il 10 marzo 2010 all’emissione di 19 fermi e successivamente a 21 ordinanze di custodia cautelare in carcere. Contestualmente, venivano eseguiti negli Stati Uniti, a New York e a Miami, 7 arresti di soggetti accusati di vari reati e comunque orbitanti nel contesto mafioso italo-americano.

Si tratta di un ulteriore sviluppo di una attività di indagine intensa e prolungata che il Servizio centrale operativo della Polizia di Stato e la Squadra Mobile della Questura di Palermo, in collaborazione con il Federal Bureau of Investigation, hanno svolto – nell’ambito di un più complessivo progetto di collaborazione denominato Progetto Pantheon – sui rapporti esistenti tra Cosa Nostra siciliana, con particolare riferimento alle famiglie della provincia di Palermo e Cosa Nostra americana, (famiglia Gambino – Inzerillo di New York).

“Ed invero – scrivono nella relazione 2011 i magistrati della Dna Alberto Cisterna e Maurizio De Lucia – le indagini condotte negli ultimi anni hanno evidenziato la rinnovata importanza delle storiche relazioni esistenti tra le due organizzazioni criminali mafiose, come già emerso nell’ambito della operazione Grande Mandamento; della operazione Gotha; nei diversi procedimenti originatisi dopo l’arresto di Salvatore Lo Piccolo sulla scorta della documentazione che venne rinvenuta in occasione di tale cattura; infine, nel procedimento in esito al quale, il 7 febbraio 2008 è stato emesso un provvedimento di fermo convalidatodal Gip che ha emesso la relativa ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 28 esponenti mafiosi di diverse famiglie dei mandamenti mafiosi della città di Palermo per il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso e per gli omicidi di Pietro Inzerillo e Antonino Inzerillo avvenuti nel New Jersey nel 1982 (operazione Old Bridge)”.

Le indagini che hanno portato al procedimento Paisan Blues sono state svolte d’intesa dagli organi investigativi italiani ed americani. Fin dal giugno 2007 veniva avviata dal Servizio centrale operativo della Polizia e dalla Squadra Mobile di Palermo (congiuntamente all’ Fbi) un’ attività di indagine nei confronti di un soggetto nato a Palermo ma residente dal 1998 a Miami, che è emerso come soggetto particolarmente legato ad ambienti criminali mafiosi sia negli Stati Uniti (in particolare la famiglia Gambino di New York) che nella città di Palermo.

Una menzione a parte merita, infine, la “famiglia” di Castellammare del Golfo, per l’importanza storicamente rivestita e per le proiezioni internazionali che hanno portato, nel corso degli anni, numerosi esponenti a stabilirsi negli Stati Uniti, rivestendo ruoli di vertice nelle gerarchie di cosa nostra americana.

Per tutto questo e molto altro ancora (ad esempio i collegamenti internazionali di ‘ndrangheta e Cosa nostra con le organizzazioni terroristiche internazionali che non sono, attenzione, prerogativa della sola camorra, anzi!) non capisco l’enfasi del Dipartimento del Tesoro a stelle e strisce e la grancassa di alcuni media.

Sarà ma ai proclami preferisco i fatti e su questo – forse sì – gli americani hanno qualcosa da insegnarci. Ma non ne sarei così sicuro.

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