Obama’s Best Enemy

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«Ogni minuto che Mitt Romney e Barack Obama passano a parlare di posti di lavoro, Barack Obama va a perdere queste elezioni. Ogni minuto passato a parlare di qualcos’altro Barack Obama va a vincere queste elezioni». Semplice, cristallina, fulminante constatazione. Sono le parole di un rispettato analista di destra, David Frum, già speechwriter di George W. Bush, intervistato domenica scorsa dalla Cbs. A commento della scelta di Paul Davis Ryan come numero due del ticket presidenziale repubblicano. Scelta che sposta la narrative dello scontro per le presidenziali di novembre sul terreno più favorevole a Obama, perché punta i fari dei media e degli elettori su due temi delicati e molto sentiti dall’elettorato, anche conservatore, come la revisione del sistema di assistenza sanitaria per gli anziani e la proposta repubblicana di ulteriori sgravi fiscali per i più abbienti, e sottrae così molta dell’attenzione finora rivolta alla gestione della crisi economica e alla disoccupazione, le spine nel fianco del presidente americano. «I democratici stanno danzando nelle strade in questo momento», commenta su Abc World News l’opinionista Cokie Roberts, ricordando come Paul Ryan sia stato il bersaglio numero uno, negli ultimi due anni, dell’offensiva democratica. Il “Boogie man”, il mostro che spaventa i bambini quando si spegne la luce.

Le voci di Frum e di Roberts danno bene il tono di una domenica televisiva fitta come al solito di popolari talk show, che analizzano la settimana politica e prevedono la dinamica di quella che si apre. E il 12 agosto è stata la domenica di Paul Ryan, dissezionato e osservato nelle pieghe più riposte della sua vita personale e della sua carriera. Non a caso la squadra di Romney ha scelto proprio sabato per l’annuncio, per ottenere il massimo rimbalzo nel ricco giorno dopo televisivo e sui giornali domenicali, molto più generosi del solito di pagine di politica.

Il risultato desiderato è stato ottenuto. Il media event ha avuto l’effetto benefico di dare impulso e smalto, nell’immediato, alla stanca campagna del candidato repubblicano. La figura di Ryan sembra funzionare con i simpatizzanti che affollano le iniziative del tour elettorale di Romney. Presso l’elettorato di destra il congressman del Wisconsin esercita la stessa attrazione che ebbe quattro anni fa Sarah Palin, senza però le controindicazioni di una candidatura improvvisata e incauta e troppo evidentemente conflittuale con quella del numero uno (a proposito: è ufficiale, la numero due del ticket repubblicano 2008 non interverrà alla Republican National Convention di Tampa). E, diversamente da Palin, Ryan è politico ben considerato non solo nel suo campo, ma anche in quello democratico.

Mitt Romney, nel presentarlo, ha messo l’accento sul rispetto “trasversale” di cui gode il quarantaduenne del Wisconsin, il che è stato interpretato come la sottolineatura di un aspetto della personalità e del profilo di Ryan che dovrebbe renderlo gradito anche all’elettorato indipendente e centrista.

Ma se si va invece alla sostanza politica, la figura del candidato vice-presidente è pura destra estrema. E incarna tutto ciò che i democratici combattono. «Il mio avversario – ha commentato Obama in un comizio nella sua Chicago – ha scelto il suo running mate: è il leader ideologico dei repubblicani al Congresso».

C’è da chiedersi perché gli strateghi repubblicani abbiano finito per scegliere il candidato forse più gradito ai democratici, tra quelli nella rosa dei possibili VP di Romney. Secondo Nate Silver, che sul New York Times cura la seguitissima rubrica FiveThirtyEight, la scelta è stata dettata dalla necessità di dare uno scossone a una campagna elettorale segnata dallo status quo e che con ogni probabilità avrebbe condotto alla sconfitta del candidato repubblicano. Per mesi la strategia di Romney è stata caratterizzata da un ossessivo martellamento sulla gestione dell’economia da parte della Casa Bianca. Già, il punto debole di Obama. Al quale, però, i sondaggi continuano a dare un vantaggio sostanzioso.

Nel modello di previsione messo a punto da Silver, il presidente è il favorito al settanta per cento. Certo lo scenario di qui a novembre può cambiare. Una crisi internazionale. Altre notizie catastrofiche sul fronte dell’occupazione. Tutto può succedere. Ma l’economia da sola non funziona nella narrative anti-obamiana. In genere, però, quando si cambia strategia, non è per radicalizzare la linea, ma è per spostarsi di più al centro. Scegliendo Ryan, Romney imbocca la strada opposta. Un investimento dal rischio molto alto, che l’effetto galvanizzante dell’annuncio immediato sembra confortare, ma che solo la dinamica delle prossime settimane dirà se è nella direzione giusta.

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