Obama mette in stato di massima allerta tutte le sedi diplomatiche Usa nel mondo intero: è evidente il timore che i fatti di Bengazi abbiano un effetto imitativo, e possano trascinare l’America in una escalation di tensioni ancora più gravi. L’uccisione dell’ambasciatore e dei tre funzionari Usa al consolato di Bengazi può “avvelenare le relazioni tra America e Libia, e troncare le speranze dell’opinione pubblica americana sugli effetti democratici della rivoluzione araba”, osserva il New York Times nell’apertura del suo sito. E’ la prima uccisione di un diplomatico Usa all’estero da oltre 20 anni. La crisi in Libia coincide inoltre col crescendo di tensioni fra Washington e Israele sulla minaccia nucleare iraniana. Dopo il pasticcio dell’incontro con Obama richiesto e negato in occasione dell’assemblea Onu di fine mese, Netanyahu lancia un attacco durissimo: l’America non ha “nessun diritto morale” di contenere le azioni di Israele per la propria sicurezza. Il Medio Oriente diventa un tema sempre più ingombrante nella campagna elettorale Usa, con la destra che incalza Obama accusandolo di avere indebolito Israele nonché gli interessi strategici dell’America. Obama come Jimmy Carter, è l’equazione che i repubblicani tentano di far passare. Ma le uccisioni di Bengazi non reggono il paragone con la presa di ostaggi all’ambasciata di Teheran nel 1979 (quella fu una crisi lunghissima, con in più un tentativo di blitz fallito tragicamente, che diede uno spettacolo d’impotenza dell’America). E la Casa Bianca si dice “indignata” che Romney abbia già approfittato della tragedia di Bengazi per sferrare un attacco al presidente. Ecco il comunicato dello scandalo, diffuso dallo staff di Romney questa notte: “E’ indegno che la prima reazione dell’Amministrazione Obama sia stata non di condannare l’attacco ma di simpatizzare con gli aggressori”. Il passaggio sembra riferirsi al fatto che la Casa Bianca, nel condannare l’aggressione, ha anche ribadito il rispetto delle religioni.
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