Edited by Laurence Bouvard
Il terzo e ultimo dibattito tra i due candidati era sulla politica estera: tema che agli americani, in tempi di recessione, interessa pochissimo. Comunque il presidente, più preparato, è uscito meglio dello sfidante.
Erano passati solo 28 minuti dall’inizio del terzo dibattito presidenziale quando sia Barack Obama sia Mitt Romney hanno fatto una virata di 180 gradi. Dalla politica estera – Libia, Iraq, Afghanistan – che era il tema della serata, i due candidati hanno cominciato a discutere di America, posti di lavoro, sviluppo, crescita, educazione. Nulla a che fare con il mondo che sta fuori dagli Stati Uniti. Inutilmente spronati dal moderatore a tornare a parlare del resto del pianeta.
Obama e Romney avevano cominciato il terzo ed ultimo dibattito prima del voto (6 novembre) in modo molto cauto. Romney si dichiarava d’accordo su alcuni temi con Obama, il presidente evitava di menare fendenti sullo sfidante. L’unico affondo di Barack è arrivato sulla politica estera dell’ultimo presidente repubblicano, George W. Bush.
Ma è stato inutile, ieri sera, cercare di capire qualcosa di più delle differenze tra candidati sulle questioni internazionali. Obama e Romney sanno che la Casa Bianca si gioca tutta sulla politica interna e sull’economia, per cui anche una questione fondamentale come il budget della Difesa va visto solo in funzione interna: quanti posti di lavoro, quanta distribuzione delle risorse sui vari capitoli del bilancio. Anche i rapporti con la Cina hanno innescato solo la discussione tra chi ha investito in aziende che hanno portato il lavoro fuori dagli Stati Uniti (Romney) e chi invece vuole riportarli a casa (Obama).
Così anche un problema come quello del nucleare e dell’Iran è stato trattato in modo molto diplomatico dai due candidati. Obama ha detto che sarà accanto a Israele se sarà oggetto di un attacco da parte dell’Iran e Romney ha ripetuto sostanzialmente la stessa posizione, lasciando da parte le suggestioni dell’attacco preventivo. Anzi: Romney ha aggiunto per la prima volta che l’opzione militare viene dopo tutte le altre, insomma è l’ultima dopo la diplomazia e le sanzioni. E poi ha accettato in silenzio l’intervento di Obama che diceva «l’America sta ancora dalla parte dei diritti delle minoranze religione, delle donne, dei bambini».
Dunque un dibattito quasi inutile, questo terzo e ultimo, perché dedicato a un tema poco sentito come la politica estera: la Casa Bianca si gioca su altri terreni, come ad esempio le ricette per riportare al lavoro i 12 milioni di disoccupati.
A ogni modo il confronto sembra aver visto primeggiare di un paio di lunghezze Barack Obama, che ha approfittato del fatto che Mitt Romney ha cercato in tutti i modi di evitare le gaffe del secondo scontro per conludere la discussione con un onorevole pareggio.
Del resto, un dibattito sulla politica estera come quello che si è svolto in Florida ha poco senso visto che il presidente conosce tutto, ma proprio tutto quello che è accaduto in questi quattro anni, mentre lo sfidante può solo affidarsi a congetture, riflessioni e frasi propagandistiche. In più, gran parte dei consiglieri di politica estera di Romney appartengono a quel mondo di neocon che sono intellettualmente – e non solo – responsabili di tutti gli errori e di tutte le tragedie degli otto anni di presidenza di George W. Bush.
PS 2: Il dibattito è durato 82 minuti e 48 secondi invece dei 90 minuti previsti, segno che di parlare di politica estera c’era davvero poca voglia.
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