Obama non ferma l’antiamericanismo
Il Pakistan primo tra i paesi oppositori
Non è bastato il brand Obama a cancellare dal mondo il mood antiamericano diffuso spesso in maniera inversamente proporzionale alla penetrazione dei beni di consumo a stelle e strisce. Certamente non tra i pakistani che, secondo un recente sondaggio Gallup , si collocano in testa alla classifica dei più fieri avversari degli Stati Uniti.
Aveva un bel distinguere il politologo Joseph Nye tra soft power e hard power, il potere dolce della cultura che alla lunga dovrebbe avere la meglio su quello duro delle armi. A Islamabad e Karachi, dove il McDonald’s è il luogo di ritrovo preferito dei giovani pakistani con o senza barba islamica, non ne vogliono sapere.
Tra i primi dieci paesi che fanno dell’antiamericanismo una specie di orgoglio nazionale ci sono molti di quelli in cui le leadership lavorano gomito a gomito con Washington e non sempre a diretto beneficio della popolazione. Il Pakistan della guerra ai talebani condotta dall’alto di bombardieri e droni made in Usa, ovviamente. Ma anche lo Yemen, dove il governo seguito alla cacciata del filo-occidentale Saleh continua a combattere contro al Qaeda a fianco della Casa Bianca. L’Egitto che pur avendo sostituito il Farone Mubarak con i Fratelli Musulmani non ha ridotto la collaborazione con l’amico americano. L’Algeria, il Libano, la Grecia, l’Iraq “liberato” dai marines dieci anni fa. C’è poi l’Iran, in cui però l’impressione è che sia il governo a bruciare ostentantamente la bandiera statunitense, e i territori palestinesi in attesa di accogliere il presidente Obama (che andrà a Ramallah giovedì dopo la visita in Israele).
E’ il sostegno a Israele la causa principale dell’antiamericanismo resistente anche alla potente icona “Yes, We Can”? Nel mondo arabo probabilmente sì. Ma poi c’è la Serbia, lontanissima a qualsiasi forma di amicizia con il mondo musulmano, in cui il 57% della popolazione dice di rifiutare la leadership mondiale detenuta da Washington e solo il 20% approva l’operato di Obama. E c’è Israele. Sì, l’amico israeliano che non compare nella classifica Gallup dei nemici della Casa Bianca ma che, mentre le strade di Gerusalemme e Tel Aviv si riempono di bandiere di benvenuto al presidente Usa, ammette di diffidarne come mai prima (appena il 18% degli israeliani giura stima incondizionata per Obama).
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