Kerry in Middle East, Two Hot Topics: Gaza-Israel Conflict, Relations with Turkey and Erdogan

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Kerry in Medio Oriente. Due punti caldi: il conflitto Gaza-Israele e i rapporti con la Turchia di Erdogan

Il segretario di Stato John Kerry é impegnato in due missioni: smorzare il conflitto israelo-palestinese e ammorbidire la sfiducia fra Israele e Turchia

Il segretario di Stato americano John Kerry é tornato in Medio Oriente impegnato in due “missioni impossibili”: smorzare il conflitto israelo palestinese e ammorbidire la reciproca antipatia e sfiducia fra Israele e Turchia.

La sua prima missione é impossibile perché la pausa di ostilità di 30 giorni (prorogabili) convenuta fra le parti é difficile da onorare. Il presidente dell’Autorità palestinese non é in grado di impedire che i palestinesi di Gaza (che vedono in questa tregua un tradimento) cessino di lanciare razzi contro Israele; il governo di Gerusalemme, condizionato dal movimento dei coloni, ha difficoltà ad impedire provocazioni che elementi estremisti (opposti a negoziati miranti alla creazione di uno Stato palestinese) compiono alimentando la reciproca violenza. Difficilmente i timorosi contatti voluti dagli americani potranno trasformarsi in negoziati seri. L’opinione prevalente a Gerusalemme – non solo negli ambienti opposti alla creazione di uno stato palestinese – é che qualunque impegno preso dagli arabi – palestinesi o no – non vale l’inchiostro con cui é scritto a causa dei cambiamenti provocati dalla tempesta politica, religiosa e tribale delle rivolte arabe e dal conflitto fra musulmani sunniti e sciiti.

La seconda missione del Segretario di Stato – ristabilire buoni rapporti fra Israele e la Turchia – non é più facile. Le scuse presentate da Natanyahu al premier Erdogan in presenza del presidente Obama, sono di convenienza. Il premier turco, musulmano convinto, non può ammettere che Gerusalemme resti sotto controllo di infedeli né che Israele mantenga un controllo su Gaza che lui ha tentato di rompere. Lo scontro con Israele dopo decenni di stretta collaborazione fra i due paesi é il prodotto dell’abbandono del laicismo turco e del rilancio di una politica di grande potenza islamica moderna mirante a trasformare la Turchia nella potenza determinante della regione. Questo sogno egemonico turco si é infranto. Il governo di Ankara non é stato capace di piegare la rivolta autonomista curda ed è costretto a scendere a patti con essa. L’Iran portabandiera della ideologia sciita, si rivela un avversario duro della Turchia sunnita trasformando la Siria in un campo di battaglia fra questi due “imperi” storici – il turco e il persiano. Il “modello” di stato democratico-islamico (contraddizione in termini) di Erdogan é stato rifiutato dall’Egitto e dai regimi guidati dai Fratelli musulmani. Cipro e Grecia hanno respinto le minacce turche contro la loro cooperazione strategica e petrolifera con Israele. L’indecisione turca nei confronti della crisi siriana sottolinea i limiti della sua capacità militare.

Dietro a tutto questo ci sono tre fatti nuovi. Il primo é la svolta nella focalizzazione degli interessi strategici americani dal Medio Oriente al Pacifico. Questa non é dovuta solo all’emergere della Cina come seconda potenza mondiale. È dovuta al fatto che la rivoluzione tecnologica ha permesso agli Stati Uniti di mettere fine alla loro dipendenza energetica dai paesi arabi (in particolare dall’Arabia Saudita) trasformandosi in massimo produttore di petrolio. Gli Stati Uniti – ha detto Obama- non possono volere più di quanto arabi (e israeliani) vogliono, lasciando così loro la responsabilità prima della soluzione o delle conseguenze della continuazione del conflitto.

Il secondo fatto é la focalizzazione provocata dalla rivolta araba dell’attenzione dei paesi sui problemi interni, economici e sociali. Le questioni internazionali hanno perso di interesse e con esse la questione palestinese, per decenni servita di scusa ai regimi arabi per non affrontare sfide interne impopolari. Il vittimismo palestinese cessa di avere una dimensione mondiale, giustificando la trasformazione dei palestinesi nell’unico popolo che fa della carità istituzionalizzata internazionale un diritto politico.

Infine il terzo fatto é rappresentato dalla trasformazione di Israele da cliente energetico a paese produttore (e forse esportatore) di idrocarburi grazie alla scoperta di enormi depositi di gas sottomarino davanti alle sue rive. Questo significa nuovi problemi di sicurezza, nuovi potenziali conflitti coi suoi vicini ma anche l’inizio della fine del processo di isolamento e di delegittimazione dello stato ebraico come parte della scoperta della potenza dell’arma del petrolio come strumento di ricatto politico arabo sull’occidente.

Il Medio Oriente é lontano dal trovare pace e stabilità ma il gioco degli arabi e degli Stati Uniti con Israele e il gioco di Israele con gli Stati Uniti e con gli arabi si fa con carte nuove.

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