Datagate, or Rather Barack Obush

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Datagate, ovvero Barack O’Bush

Disse Bertolt Brecht che, quando il fascismo fosse giunto in America, avrebbe assunto le fattezze della democrazia.

Profezia poetica che si sta avverando sotto i nostri occhi. Il paese che continua ad esserci ossessivamente rappresentato come la più progredita forma di democrazia, è quello stesso in cui i suoi un tempo cittadini (ora sudditi abitanti di Matrix) sono sorvegliati ad ogni istante dal Grande fratello Nsa che tutto sa e tutto può leggere e vedere.

Anche a noi tocca essere, qualche volta, profeti. Pino Cabras ed io, sul nostro libro “Barack Obush”, nella sua edizione in lingua russa, mettemmo in copertina un photoshop di Obama e Bush che mostrava la loro contiguità e continuità. Nei giorni scorsi l’Huffington Post, nella sua edizione americana, a due anni di distanza, ci ha copiato il photoshop. Confermando, per altro, il mio giudizio al momento dell’elezione del primo presidente di colore della storia americana: Obama come la più straordinaria operazione di maquillage di un imperatore dai tempi del faraone Tutankamen.

Il programma dei 30.000 droni varato da Barack Obush, per sorvegliare dall’alto tutta l’America (non per uccidere i terroristi), quello della mappatura del cervello umano, sempre promosso dal faraone democratico, dice che si sta andando a tappe forzate verso uno stato americano totalitario sotto tutti i parametri. E ciò avviene mentre Giovanna Botteri, sul Tg3, ogni sera, con occhi sognanti e parole estatiche, ci descrive le meraviglie della democrazia americana.

Obama fu eletto avendo promesso il ritiro dall’Afghanistan, ma ora scopriamo che questo ritiro non ci sarà mai più. In quel deserto dei tartari resterà un distaccamento permanente di almeno 10.000 uomini. L’Irak è un protettorato americano dove la guerra civile va avanti al ritmo di 50 morti per bomba. Si prepara l’offensiva militare della Nato contro la Siria. Obama dichiara di avere acconsentito alla “red line” tracciata da Netanyhau per l’Iran: così, quando decideranno Tel Aviv e Washington, partirà il bombardamento contro Teheran.

E tutto procede secondo i piani, anche la preparazione psicologica alla guerra. Un recente sondaggio, di pochi giorni fa, pubblicato sulla prima pagina del New York Times, promosso dallo stesso New York Times e dalla Cbs News, dice che il 60% degli americani sarebbe d’accordo di attaccare l’Iran se la linea rossa venisse oltrepassata. Ma la linea rossa la decide Israele e, dunque, l’Iran la sorpasserà anche se starà fermo come una statua di marmo. La maggioranza degli americani ha già subito il lavaggio del cervello e, dunque, applaudirà freneticamente.

Si tratta di vedere ora se anche l’Europa applaudirà. E questo dipende anche da noi, anche dagli italiani. Ora, in mezzo alla valanga di critiche e dileggio contro il Movimento 5 Stelle, io voglio distinguermi plaudendo alla dichiarazione fatta in Parlamento dal capogruppo di quel partito. Quando ha detto, chiaro e forte, che l’Italia non dovrà più partecipare e nessuna impresa militare fuori dai suoi confini. E’ una saggia proposta, per l’Italia e per l’Europa.

In mezzo al devoto e ossequioso silenzio di tutte le sinistre, di ogni tinteggiatura, solo il gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle si candida a far risorgere il movimento pacifista italiano, già demolito dal tradimento di tutte le sinistre. Dunque, almeno su questo punto qualificante, io sto con l’unica opposizione, senza se e senza ma. L’alternativa alla guerra è solo la pace. Il resto sono chiacchiere.

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