C’e’ stata festa fino tardi ieri sera al Castro di San Francisco e a Oakland, raduni a San Jose e a West Hollywood le strade del centro erano chiuse fin dal pomeriggio per accomodare la folla accorsa a celebrare una vittoria che solo pochi anni fa sembrava lontana decenni. La storica sentenza della corte suprema equipara da oggi le coppie gay a quelle eterossessuali e conferisce loro tutti i diritti del caso, sanitari, fiscali e sociali, compreso quello del ricongiungimento con un coniuge straniero. Ma la vera forza della decisone dela corte suprema e’ simbolica, per come decreta inequivocabilmente la supremazia dell’uguaglianza civile sulle distinzioni, arbitrarie o “divine” che siano. Un passo dovuto e importante in una democrazia laica e liberale che conclude trent’anni di militanza gay e un decennio di lotte sul matrimonio. Al di la di quello che si possa pensare del matrimonio come istituzione o come obbiettivo di un movimento – la sua interdizone ad una porzione della cittadinanza e’ una posizione impossibile in una democrazia laica e liberale. Il diritto universale al matrimonio si avvicina dunque a passi inesorabili, inevitabile conclusione, come da anni sosteniamo, dell’ultima grande battaglia per i diritti civili di una societa’, quella americana, fisiolgicamente eterogenea, la cui coesione dipende dal superamento, perlomeno nominale, delle differenze sociali. Come fu durante le lotte contro la segregazione razziale, il disperato tentativo della destra teocon di applicare un regime di simile “uguaglianza parziale” ai gay rappresenta una battaglia di retroguardia costituzionalmente insostenibile. Daltronde se le lotte sui civil rights in America hanno insegnato qualcosa e’ che quando l’opinione pubblica si allinea con la volonta politica, anche il progresso istituzionale diventa inevitabile. Nel caso dei gay e’ evidentemnte s destinato ad accadere piu’ velocemente del previsto.
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