Dispiace che le auto del gruppo degli ispettori ONU diretti al sito presso Damasco dove dovrebbero trovare tracce del gas nervino che ha ucciso oltre 1300 civili, sia stato preso di mira da cecchini.
Potevano risparmiargli quella paura perché le decisioni che già vengono prese in queste ore hanno poco a che fare con ciò che gli ispettori troveranno: il gas Sarin vola via dopo cinque giorni, e comunque William Hague, ministro degli Esteri inglese, ha detto semplicemente che la decisione è presa perché «non vogliamo che i vari dittatori pensino di poter usare armi chimiche». Ban Ki Moon, segretario generale delle Nazioni Unite, ha detto che gli ispettori devono fare presto. Ma se l’Onu voleva prendere decisioni importanti aveva già da due anni a disposizione il Consiglio di Sicurezza per farlo, ed esso è stato, come sempre, completamente immobilizzato dalla spaccatura Usa-Russia. Così sarà anche stavolta: Obama è ormai in pieno movimento, spinto da buona parte dell’Europa. Si sta ormai disegnando una coalizione che nel giro di un paio di giorni, qualsiasi cosa diranno gli ispettori, salvo eventi drammatici, attaccherà Assad. Al centro della coalizione sarà l’asse Obama-Cameron-Hollande, mentre la Germania resta tiepida. Con i suoi eventuali alleati, Obama ha in queste ore intensi colloqui telefonici, come il suo segretario di Stato John Kerry. La Turchia è della partita. Martin Dempsey, il capo di stato maggiore americano, si trova in Giordania per tutta la rilevante e significativa parte araba anti-Assad.
Le ragioni dell’eventuale attacco americano, certamente problematico a causa dei ribelli, che lungi dal dare una garanzia di moderazione sono un’autentica promessa di islamismo estremista, le ha spiegate bene Hague: non si può pensare che nel XXI secolo si possano impunemente usare armi chimiche, ancor peggio contro la propria popolazione, senza una reazione che dimostri come questo sia proibito dal resto del mondo.
Ieri a Gerusalemme illustrava questo punto Yuval Steinitz, ministro delle relazioni internazionali e strategiche, rompendo il riserbo di Israele che non vuole essere tirato dentro gli scontri dei suoi vicini: «Non può esserci niente di peggio dell’uso di armi di distruzione di massa, se si dà la luce verde una volta è la fine, e occorre anche pensare che l’Iran, che ha soldati e consiglieri strategici in Siria, è implicato in questa vicenda. Quali programmi possono fare gli Ayatollah, che costruiscono la peggiore di tutte le armi di distruzione di massa, l’atomica, se nessuno fa niente per fermare il gas sarin?».
Che le responsabilità siano di Assad, tutti i servizi segreti lo danno per certo. Solo la Russia seguita a dichiararsi contraria a ogni intervento, e ciò implica un pericoloso peggioramento delle relazioni tra Washington e Mosca. Di certo la coalizione si terrà lontana dalle immagini dell’invasione dell’Iraq, ovvero niente «stivali sul terreno» e quindi uso di aerei e di navi Usa già nel Mediterraneo. Escluse anche le scene selvagge tipo Libia. Obama e gli europei studiano una impresa quanto più circoscritta, forse senza puntare alla destituzione di Assad. Gli obiettivi sono i depositi di armi chimiche e i centri di potere che abbiano a che fare col loro uso: questa è la giustificazione della scelta che scavalca l’Onu e cerca l’appoggio della Nato, come al tempo dell’intervento di Clinton in Kosovo. Assad reagisce con tono anodino, risponde alle domande dell’Izvestya, giornale russo molto popolare: è irragionevole, dice, pensare che abbia usato le armi di distruzione di massa perché avrebbe colpito anche i suoi. E avverte gli Usa, che rischiano di infilarsi in una trappola tipo Vietnam. Un suo ministro spiega che Israele sarà ritenuto responsabile di tutto. E chi ne dubitava. Ovvero, minaccia il lancio di gas anche sullo stato ebraico. Che infatti distribuisce maschere antigas e rinfresca i rifugi. Senza emozionarsi troppo.
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