Il Congresso degli Stati Uniti va in vacanza e la nuova legge sull’immigrazione, promessa in campagna elettorale, ritorna di nuovo nei cassetti, dopo il passaggio al Senato. Tuttavia, a leggere attentamente il disegno di legge, non si può essere proprio certi che si tratti di una notizia negativa per gli 11 milioni di immigrati undocumented che vivono e lavorano negli Stati Uniti.
Essi sperano, infatti, che la svolta che c’è stata negli ultimi mesi nell’opinione pubblica statunitense, che si dichiara ora in gran parte favorevole ad una sanatoria generalizzata degli immigrati “clandestini”, possa indurre il Congresso ad approvare una legge a loro favorevole. La svolta dell’opinione pubblica è in parte dovuta al diverso atteggiamento del partito repubblicano e dei media a loro più vicini rispetto al tema dell’immigrazione a seguito delle ultime elezioni presidenziali, dove si è visto chiaramente che la maggior parte dei cosiddetti Latinos ha espresso un voto democratico, determinando la sconfitta di Mitt Romney. Un sondaggio realizzato a marzo da Brookings Institution ha segnalato, infatti, che il 63% degli americani è a favore di un “percorso di cittadinanza” per gli immigrati senza documenti. Un altro sondaggio realizzato ad aprile dalla CNN ha rilevato che l’84% degli americani è a favore della “legalizzazione” degli immigrati undocumented.
Forti dunque anche di questi cambiamenti nell’opinione pubblica, molte associazioni, gruppi e sindacati, che da anni lavorano e combattono in prima fila per i diritti degli immigrati e delle loro famiglie, stanno spingendo per l’approvazione di una legge che garantisca i diritti e le libertà degli immigrati. Non sono, però, gli unici a spingere per l’approvazione di questa legge, seppur in direzione completamente opposta. Le grandi lobby dell’industria della sicurezza e delle associazioni imprenditoriali chiedono anch’essi a gran voce una nuova legge che riformi quasi l’intero sistema dell’immigrazione.
Gli imprenditori, preoccupati di rendere più competitive le loro imprese in tempi di crisi, chiedono di ridurre il “costo del lavoro” attraverso l’introduzione massiccia dei cosiddetti programmi per “lavoratori distaccati” (cioè, i vecchi cari “guest workers”, ovvero “lavoratori ospiti”, o stagionali). La lobby dell’industria della sicurezza, invece, che da anni lucra e si arricchisce dai discorsi razzisti e securitari, chiede di avere un ruolo sempre più determinante nella gestione dell’immigrazione, proponendosi di realizzare più centri di detenzione, un muro più massiccio per blindare in lungo e in largo il confine tra Stati Uniti e Messico, oltre che di introdurre nuove tecnologia biometriche, strumenti di monitoraggio all’avanguardia, ecc.
A leggere attentamente il dibattito che si è svolto al Senato ed il disegno di legge S. 744 (“Border Security, Economic Opportunity and Immigration Modernization Act”), così com’è stato licenziato, sembra evidente chi finora stia vincendo nella gara tra i tre gruppi interessati alla sua approvazione. E’ sufficiente l’ordine delle parole nel titolo per farsi un’idea complessiva circa le vere priorità della legge. E secondo le stime di molte associazioni di immigrati, soltanto il 40% degli undocumented presenti ora negli Usa potrà usufruire della sanatoria prevista. Mentre alle lobby dell’industria e degli imprenditori è stato finora concesso tutto quanto richiesto. Ma vi è di più. Il presidente della Camera dei Rappresentanti, John Boehner, ha già annunciato che intende scorporare la riforma dell’immigrazione in tre atti legislativi separati durante il passaggio alla Camera. In altre parole, sarà votata per prima la legge sulla “sicurezza delle frontiere”, poi quella che garantisce lavoratori flessibili “usa e getta” per le imprese e poi, infine, quella sui diritti e la sanatoria degli immigrati undocumented.
Si dovrà attendere l’autunno per capire nei dettagli i cambiamenti che vorrà introdurre la Camera dei Rappresentanti, ma se la legge dovesse restare così com’è, la situazione che si verrebbe a creare per gli immigrati negli Stati Uniti sarebbe perfino peggiore di quella attuale. Non ci sarebbe molto da stupirsi, del resto, se solo si considera che le due amministrazioni Obama detengono finora il record delle espulsioni nelle politiche migratorie degli Stati Uniti.
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