It Seems that Obama Is a Bolshevik

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La proposta di aumento del salario minimo ai dipendenti federali è stata bollata come socialista. Ma il presidente mira a difendere il potere d’acquisto per rafforzare i consumi. E favorire le imprese

Un altro “bolscevico” alla Casa Bianca? Sono passati ottant’anni da quando il “new deal” di Franklin D. Roosevelt aveva attirato sull’allora presidente questa sprezzante invettiva da parte dell’America capitalista. Ora la storia sembra ripetersi dopo l’ultima mossa economica di Barack Obama che, nel suo recente discorso sullo stato dell’Unione, ha annunciato due iniziative destinate a creare non poche polemiche. La prima, quella di un decreto per aumentare il salario minimo dei dipendenti federali da 7,25 a 10,10 dollari l’ora. La seconda, quella della richiesta al Congresso per l’introduzione di una sorta di scala mobile con paga oraria indicizzata all’inflazione.

L’area di Impatto della prima novità – ancorché rilevante col suo 40 per cento in più – appare al momento circoscritta a poche migliaia di lavoratori. Soltanto col tempo, attraverso i rinnovi contrattuali, finirà per estendersi a una platea di lavoratori numericamente più significativa. Ma ciò è bastato ad attirare sulla Casa Bianca i fulmini di Wall Street e dei capi delle grandi corporation. Agli occhi dei quali la mossa del presidente, pur nel suo peso economico limitato, è parsa come il segnale di una svolta scandalosamente socialista nella conduzione politica del paese. Né più né meno di quanto accadde, appunto, negli Anni Trenta quando Roosevelt salvò il capitalismo americano dai suoi catastrofici errori introducendo nel sistema dosi crescenti di regolazione del mercato e di tutele dei redditi più bassi.

Si annuncia così una dura battaglia in Congresso per quanto riguarda l’altro annuncio di Obama in tema di scala mobile. Con echi perfino in Italia dove l’ipotesi è stata oggetto di commenti ferocemente critici in memoria di quella sorta di guerra di religione in materia che lacerò il Paese durante gli Anni Ottanta. Molti così dimenticando alcune differenze fondamentali fra l’Italia di allora e gli Usa di oggi. Intanto quella fra il tasso d’inflazione corrente da noi in quel tempo e quello attuale da loro. Ma poi, soprattutto, perdendo di vista l’approccio fortemente pragmatico della politica americana nelle scelte economiche: lo stesso presidente può introdurre la scala mobile quest’anno e tranquillamente revocarla fra un paio d’anni una volta raggiunto l’obiettivo prestabilito.

E qui siamo al punto cruciale. Obama non si muove a caccia di facili consensi popolari: non ne ha neppure bisogno visto che non è rieleggibile. La sua è un’iniziativa squisitamente economica che mira a salvaguardare il potere d’acquisto dei salari ovvero a rafforzare la domanda interna per consumi nella convinzione che l’attuale relativa debolezza del dollaro spingerà questa stessa domanda a soddisfarsi prevalentemente con prodotti “made in Usa”. Quindi, altro che piombo nelle ali delle imprese: con una mossa apparentemente incongrua, la Casa Bianca mira a consolidare gli spazi di mercato interno per la produzione domestica.

La lezione americana manda così anche all’Europa due messaggi di grande importanza. Il primo che la solidità di un sistema produttivo dipende certamente dalla sua capacità competitiva sui mercati esteri, ma non può reggere nel tempo senza avere alle spalle un mercato interno che sia robusto e vitale. Il secondo che la svalutazione progressiva del potere d’acquisto dei salari è la strada più sicura per inaridire la fonte principale di alimentazione delle imprese stesse.

Insegnamenti i quali sottolineano la miope ottusità di chi considera i tagli salariali come la principale o addirittura l’unica via d’uscita dalla crisi. Abbaglio tanto più grave in un Paese come l’Italia, dove la corsa alla riduzione dei salari non appare altro che una variante di quella politica di mera sopravvivenza che si è realizzata in passato con le continue svalutazioni competitive del cambio. Cosicché cambia il nome della droga ma non si guarisce dal vecchio vizio di scaricare a valle sui lavoratori gli errori a monte di una classe imprenditoriale in troppo larga misura riluttante a investimenti e innovazioni.

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