The Contract Between Google and Smartphone Makers Revealed

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Svelato il contratto tra Google e i produttori di smartphone

L’agreement nel 2011 fu sottoscritto da Samsung e da Htc.

La casa di Mountain View impone clausole molto precise per la distribuzione di Android e delle app. Un consulente americano le rende note per la prima volta.

VALERIO MARIANI

Benjamin Edelman – consulente e professore alla Harvard Business School – mette in rete una serie di dettagli interessanti sul contratto di distribuzione della piattaforma Android che lega Google ai produttori di smartphone e tablet. Intanto, il documento ha un nome: Mobile Application Distribution Agreement e conferma la strategia della casa di Mountain View di spingere per una piattaforma che sfrutti al massimo i servizi di Google e che uniformi le personalizzazioni.

Il leak riguarda la versione del contratto datata gennaio 2011, ai tempi di Android 3.0, ed è stato reso pubblico a latere del processo che vede Google di fronte a Oracle. La prima cosa da puntualizzare è che se Android è open source, le app come Play Store, Gmail, Google Maps e Play Service devono essere licenziate ed è soprattutto di servizi e di app che parla il documento.

La lista dei “dos and dont’s” di Google ai vendor come Samsung e Htc, i primi che ai tempi sottoscrissero il documento, è molto chiara. Gli smartphone devono avere obbligatoriamente preinstallato un pacchetto di una dozzina app Google, tra cui quelle che permettono la ricerca vocale. Va da sé che il motore di ricerca predefinito deve essere quello di Mountain View e, inoltre, nel documento è definita anche una seconda lista di app, non obbligatorie ma fortemente consigliate.

Le app, ancora, devono essere distribuite gratuitamente, non possono essere modificate in alcun modo – per esempio per usare una piattaforma pubblicitaria non gestita da Google – o utilizzate per altre app e servizi, e devono apparire nella prima schermata di smartphone e tablet. In particolare la search di Google e il client per il marketplace Android devono essere raggiungibili al massimo con uno swipe.

Google, inoltre, richiede obbligatoriamente dei rapporti molto dettagliati sulle vendite dei dispositivi Android, anche su base locale, e, come detto, specifica molto bene che neanche un centesimo dei ricavi pubblicitari provenienti dai servizi Google sarà condiviso con i vendor. Inoltre, prima di dare l’ok per la distribuzione di un nuovo device, l’azienda di Mountain View deve avere a disposizione non meno di 4 prodotti per il test.

Il Mobile Application Distribution Agreement, inoltre, ha una durata massima di due anni, dopodiché deve essere rinegoziato. Curioso, infine, il concetto di open device, come recita il documento: “Open Devices. The parties will create an open environment for the Devices by making all Android Products and Android Application Programming Interfaces available and open on the Devices and will take no action to limit or restrict the Android platform”. Come dire, aperto ma solo per me.

La notizia è che ora la strategia di Google a proposito di Android è pubblica e ratificata, mentre finora si poteva solo immaginare quanto fosse devil l’azienda, più che evil. I termini dell’accordo non stupiscono, Google è un’azienda pubblica che ha la sola missione di chiudere i conti con il massimo dei profitti, per questo tutela le proprie creazioni il più possibile. Certo, il documento ridimensiona l’aura open che spesso caratterizza l’azienda agli occhi dell’opinione pubblica, e pone ulteriormente i produttori di hardware in una posizione di inferiorità, ricordando un po’ i tempi di Microsoft e Ibm.

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