Jeb Bush, Transparency with Violated Privacy

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In nome della trasparenza, Jeb Bush ha violato la privacy di centinaia (se non di migliaia) di cittadini. L’ex governatore della Florida e probabile candidato alle primarie per la campagna presidenziale 2016, ha messo on-line sul suo sito 250mila email inviate mentre governava lo Stato, dal 1999 al 2007. Peccato che si sia “dimenticato” di chiedere il permesso ai suoi interlocutori. Così, nel faldone pubblicato on-line sul suo sito, sono finiti nomi, cognomi, numeri di telefono, codici fiscali e dati sensibili di privati cittadini. Fra le mail, anche storie private di sofferenze e disperazione in cui sono coinvolti addirittura minori. Si è scatenato il polverone.

Il mio primo pensiero, ovviamente, è stato domandarmi come sia stato possibile che un uomo che potrebbe candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti, figlio di George H. Bush e fratello di George W. Bush, possa aver agito con tale leggerezza. Una leggerezza gravissima, che ha toccato anche i membri del suo staff. Da sempre sono un sostenitore del dovere della trasparenza per chi ricopre ruoli pubblici: chi rappresenta i cittadini deve rendere loro conto delle sue azioni, delle sue scelte, e considerare la sua sfera privata non più tale. Ciò che è privato, infatti, potrebbe interessare la collettività che potrebbe compiere scelte elettorali anche sulla base di comportamenti o azioni che il politico compie nella vita “privata”. Ma tutto ciò ha evidentemente un senso per il politico stesso; quando di mezzo ci sono i cittadini, la loro privacy deve essere tutelata.

Il secondo pensiero, che ha subito scavalcato il primo, è arrivato nel momento in cui ho letto quanto rischia Jeb Bush per la sua negligenza. Bene, il candidato al ruolo di presidente degli Stati Uniti, stando a quanto ha rivelato“Il Messaggero”, rischia una multa di 500 dollari. È uno scherzo, mi sono detto. No, non è uno scherzo. Un uomo, e non un uomo qualsiasi, che mette alla mercé del mondo i dati di centinaia di cittadini, Oltreoceano resta di fatto impunito. In Italia, invece, imprenditori onesti che sbagliano un indirizzo – uno – vengono multati con 120mila euro di sanzione. Ora: non è sbagliato effettuare i controlli, anzi sono decisamente a favore del fatto che ce ne siano di più e verso tutti i soggetti che operano nel settore. Ma non posso non rilevare un’imbarazzante discrepanza fra il sistema europeo, pieno di limiti spesso esagerati, e quello americano, dove vige la legge opposta. Forse, più che ad alzare polvere dove la polvere è evidente, occorrerebbe evitare che si formi, pensando a regole equilibrate volte a dare il giusto peso ad ogni tipo di violazione della privacy.

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