The United States Opens Up to Assad: Spring of Diplomacy?

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La settimana si apre all’insegna del Vaticano che chiede la guerra “giusta” contro i persecutori di cristiani dopo la strage in Pakistan, il segretario di Stato Usa John Kerry che apre al negoziato con Bashar Assad in Siria mentre la trattativa sul nucleare con l’Iran è alle battute finali. In sintesi il cosiddetto “asse della resistenza” Teheran-Baghdad-Damasco-Hezbollah si prepara a cogliere un riconoscimento internazionale nella battaglia contro i radicali sunniti del Califfato e gli altri gruppi estremisti e fanatici.

Non è un caso che il Vaticano abbia firmato insieme a Russia e Libano una dichiarazione congiunta, sostenuta da 63 Paesi, per la difesa dei cristiani e di altre minoranze del Medio Oriente al Consiglio dei diritti umani di Ginevra. In realtà alla Santa Sede e nelle cancellerie occidentali sanno già che l’intervento armato è in corso non solo con i raid aerei della coalizione ma soprattutto con le truppe sciite e curde che stanno combattendo sul terreno in Iraq e in Siria.

Chi sono amici e nemici? Gli Stati Uniti, se firmano con Teheran, stanno per completare la virata nel mondo musulmano verso l’asse sciita, pur tenendo sempre rapporti privilegiati con Israele e Arabia Saudita, i pilastri della loro politica mediorientale da sessant’anni. Se pensiamo che nel 2013 Barack Obama voleva bombardare Assad, e Israele l’Iran, si tratta di un cambiamento epocale: allora furono Putin e Bergoglio a fermare Washington, che se fosse intervenuta avrebbe lasciato campo libero all’Isil e ai gruppi più islamici più radicali, e oggi il Califfo Al Baghdadi farebbe colazione sulle rovine di Damasco.

I vecchi alleati dell’America sono sempre meno affidabili, Turchia compresa, che ormai nella Nato ha una traiettoria eccentrica: pur avendo appena firmato un’intesa con Washington per addestrare un nuovo esercito siriano, continua a non dare le basi aeree per la guerra al Califfato e minaccia persino di acquistare missili cinesi. Il presidente Tayyep Erdogan e il suo premier Ahmet Davutoglu portano la responsabilità di avere fatto passare migliaia di jihadisti dalla Turchia alla Siria e soltanto adesso stanno frenando un flusso che con il ritorno dei foreign fighters minaccia direttamente l’Europa.

La presa di posizione vaticana è interessante: pur mantenendo il dialogo con il mondo sunnita, è con gli sciiti che ha segnato i progressi maggiori, come testimonia la visita recente in Vaticano al Papa della vicepresinente iraniana Molaverdi. I cristiani siriani e libanesi sono a stragrande maggioranza con Assad e si sono alleati con gli Hezbollah sciiti libanesi che hanno liberato i villaggi cristiani in Siria dai gruppi sunniti radicali. La Santa Sede sta prendendo atto di una realtà che conosceva perfettamente ma che non poteva esprimere per le pressioni americane e una sorta di opportunismo ecumenico. «Se non ci fossero stati gli Hezbollah a fermarlo, il Califfato sarebbe già alla periferia di Beirut», aveva dichiarato qualche mese fa il Patriarca maronita Bechara Boutros Rai.

In Iraq le truppe curde e iraniane, guidate dai Pasdaran, sono insieme ai cristiani per combattere il Califfato e nella battaglia di Tikrit, uno sviluppo che gli Usa probabilmente stanno favorendo in attesa della sempre annunciata offensiva contro Mosul. Più complessi i riflessi sulla Libia: in Cirenaica l’Egitto sostiene il generale Khalifa Haftar ed è appoggiato da Russia e Francia. Ma anche questo è un mutamento interessante: Mosca attraverso l’Egitto del generale Abdel Fattah Al Sisi tiene una posizione importante nel mondo sunnita pur essendo con Teheran il maggiore alleato di Assad.

Insomma ecco come cambia il mondo vicino a noi: forse è cominciata una sorta di “primavera della diplomazia”.

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