A Geopolitical Turning Point for the Middle East

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Tra Iran e Stati Uniti è un nuovo inizio? Il popolo iraniano lo spera con tutta l’anima e probabilmente fatica a contenere l’entusiasmo per l’intesa di Losanna: troppe le speranze del passato sfiorite e deluse. La geopolitica mediorentale può cambiare radicalmente, a partire dalla battaglia contro il Califfato in Iraq, ma non è facile cancellare l’ostilità reciproca, le minacce, le tensioni continue, le pressioni, a volte strabordanti, esercitate dagli alleati degli americani, come Israele e Arabia Saudita, e allo stesso tempo il ruolo assai controverso dei protetti di Teheran, come il regime di Bashar Assad e gli Hezbollah libanesi. Eppure questo Iran l’estate scorsa è stato anche il primo Paese a entrare in guerra contro lo Stato Islamico e se non fossero intervenute subito le milizie sciite appoggiate da Teheran il Califfato avrebbe divorato, dopo Mosul, anche la capitale. Forse non è del tutto inutile ricordare che finora Israele non ha sparato neppure un colpo contro il Califfato. E i sauditi, pur partecipando alla coalizione e confinando anche loro con l’Isil, non hanno sprecato una cartuccia contro i jihadisti, preferendo bombardare gli Houthi sciiti in Yemen.

Il problema del riavvicinamento tra Usa e Iran è questo: i due hanno un nemico in comune, il Califfato, ma alleati e interessi da proteggere sono diversi. La questione è ideologica e religiosa, con la contrapposizione tra mezzaluna sunnita e mezzaluna sciita. Certo non la democrazia. Il regno saudita, da oltre 60 anni pilastro insieme a Israele delle relazioni americane nella regione, è una monarchia assoluta, l’Iran è una repubblica islamica gestita dagli ayatollah ma dove si svolgono elezioni: non c’è una democrazia all’occidentale ma sicuramente è molto presente il pluralismo e un bilanciamento dei poteri. America e Iran sono separati da una diversa concezione dei rapporti internazionali e soltanto adesso sono tornati a parlarsi in un negoziato che costituisce un processo per costruire una fiducia reciproca che non c’è mai stata.

A cominciare dal giorno fatale in cui Washington e Teheran finirono su fronti contrapposti, anche se le cose avrebbero potuto andare in maniera completamente diversa. «Dategli un calcione e mandateli a casa», fu così che reagì l’Imam Khomeini, secondo Ibrahim Yazdi, allora ministro degli Esteri, quando seppe che un gruppo di studenti aveva occupato l’ambasciata Usa. Tutto poteva finire lì ma l’ayatollah che aveva innescato la rivoluzione contro lo Shah vide in tv una folla enorme e si accorse che avrebbe potuto sfruttare questa mobilitazione per rafforzare il suo potere e monopolizzare gli eventi. Era iniziato, il 4 novembre del 1979, il sequestro degli ostaggi americani, che provocò una rottura insanabile. La crisi, durata 444 giorni prima che 66 ostaggi venissero rilasciati, assunse negli Stati Uniti la dimensione di un dramma nazionale che agevolò la vittoria di Ronald Reagan su Jimmy Carter alle presidenziali del novembre 1980.

Il conflitto geopolitico tra la superpotenza e un Paese in via di sviluppo ebbe un unizio emotivo e drammatico ma si trasformò presto in un confronto a tutto campo: il regime di Khomeini, come lo Shah, aveva l’ambizione di fare dell’Iran un leader della regione puntando però sull’Islam politico e l’appoggio delle masse musulmane. Niente di più opposto alla visione dell’America e di Israele. Poi ci fu nell’80 la guerra Iran-Iraq, l’aiuto americano e delle monarchie del Golfo a Saddam Hussein ma anche il segreto sostegno Usa a Teheran, in una strategia di “doppio contenimento” che non voleva vedere nessuno dei due Paesi uscire vincitore dal conflitto. La strategia del contenimento non è molto cambiata: oggi gli Stati Uniti devono calmare Israele e accontentare gli alleati sunniti, senza che diventino troppo potenti, e allo stesso tempo hanno bisogno dell’Iran sciita per combattere il jihadismo e puntare alla stabilizzazione della Mesopotamia. La collaborazione non sarà facile e verrà contrassegnata comunque da un’ambiguità di fondo. Ma proprio questi precedenti storici ci dicono che il presidente Barack Obama e quello iraniano Hassan Rohani, sostenuto dall’ombra della Guida Suprema Alì Khamenei, hanno avuto il coraggio di guardare avanti, al futuro.

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