No Tax for Walmart: How the Largest Company in the World Tricked the US Treasury

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Walmart no tax: così la più grande società del mondo ha beffato il Fisco Usa

Una rete di società offshore per aggirare le imposte americane. Al centro del sistema c’è il Lussemburgo. Il colosso della grande distribuzione ha pagato l’uno per cento di imposte su profitti per 1,3 miliardi di dollari

Una rete segreta di 78 società sparse in 15 paradisi offshore nel mondo, a cominciare dal Lussemburgo. Miliardi di dollari che rimbalzano da un capo all’altro del pianeta sotto forma di prestiti. E giochi assortiti di ingegneria finanziaria per mascherare i profitti. Così i grandi magazzini Walmart, la più grande società del mondo per ricavi (485 miliardi di dollari nel 2014), è riuscita a sfuggire al fisco americano, risparmiando centinaia di milioni di dollari in tasse. L’atto di accusa arriva “ American for tax fairness ”, un’associazione statunitense per la trasparenza fiscale, che ha pubblicato un documentato dossier sui disinvolti affari fiscali del gigante della grande distribuzione.

Il perno di quella che appare come una colossale elusione delle imposte è, ancora una volta, il Lussemburgo, al centro nei mesi scorsi dello scandalo mondiale, ribattezzato LuxLeaks , sugli accordi tra alcune multinazionali e il governo del Granducato per ridurre al minimi la tassazione. In sostanza, Walmart a partire dal 2011 ha trasferito nel piccolo stato europeo il controllo di attività per 45 miliardi di dollari, intestate a 22 holding diverse. Risultato: la società americana ha pagato imposte pari a meno dell’1 per cento sui profitti per 1,3 miliardi di dollari realizzati dal 2010 al 2013.

Walmart ha piantato le insegne in molti Paesi nel mondo, dalla Gran Bretagna alla Cina, dal Brasile al Giappone, ma il controllo di queste società al di fuori degli Stati Uniti fa capo per il 90 per cento a consociate in Lussemburgo o in Olanda, un altro Paese europeo dal fisco generoso. Il sistema più utilizzato per ridurre al minimo il peso delle imposte è quello dei cosiddetti prestiti intercompany. Funziona così: le società nei paradisi fiscali prestano soldi a quelle americane e i relativi interessi, incassati in Lussemburgo o in Olanda, sono quasi esentasse.

Ecco allora che le holding offshore si trasformano in ricchissime casseforti che contribuiscono ai profitti globali del gruppo. Non solo. I soldi vengono infine rimpatriati, anche in questo caso senza pagare le tasse, per sostenere le attività americane del gruppo. Alla luce di questi dati, “American for tax Fairness” chiede l’intervento del Fisco e della Sec, l’autorità di controllo sulla Borsa.

Il tema delle multinazionali che aggirano le imposte in Patria è da mesi al centro di polemiche negli Stati Uniti. Numerose grandi corporation tra cui Apple, Google, Microsoft, la farmaceutica Pfizer e altre ancora, hanno accumulato decine di miliardi di dollari in depositi oltrefrontiera con enormi risparmi sule tasse. Il governo di Barack Obama ha promesso nuove leggi per rendere meno convenienti queste acrobazie fiscali. Non sarà facile. Le multinazionali spendono ogni anno milioni di dollari per finanziare campagne di lobbying al Congresso. Con grande successo, come dimostra il caso Walmart, che fin qui ha trovato grande comprensione in Parlamento.

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