It’s Time for Obama To Celebrate the Trans-Pacific Partnership Agreement

<--

Otto anni dalla prima decisione politica che risale addirittura alla presidenza Bush. Cinque anni interi di negoziato. Una trattativa finale ad Atlanta durata cinque giorni e cinque notti con la firma del patto via via rinviata da venerdì, a sabato, poi a domenica, per arrivare, infine, a concludere solo all’alba di lunedì. Ma alla fine il Tpp, il trattato di libero scambio Trans-Pacifico è stato siglato dagli Stati Uniti e da altri 11 Paesi sulle due sponde dell’Oceano: dal Giappone al Canada, dall’Australia al Vietnam.

Per Obama un giorno da celebrare visto che questo era uno degli obiettivi della sua presidenza. Il trattato, infatti, dovrebbe dare sostanza economica alla sua politica di rafforzamento dei legami con gli alleati degli Usa in Estremo Oriente anche in chiave di contenimento della Cina (che non aderisce al Tpp): è il cosiddetto pivot asiatico, uno spostamento del baricentro degli interessi americani verso quell’area del mondo che dovrebbe rappresentare una parte importante dell’eredità politica del presidente democratico. Per l’Unione Europea un giorno di riflessioni: il Ttip, il Trattato Trans- Atlantico che dovrebbe essere il gemello del Tpp (e bilanciarlo), è finito da qualche mese su un binario morto per la difficoltà di colmare le distanze che rimangono tra Europa e Stati Uniti in diverse aree. Ma adesso che va in porto un accordo che cancella 18 mila dazi e barriere tariffarie in un’area che copre il 40 per cento del commercio mondiale, il Vecchio Continente rischia di restare ancor più indietro.

Ma la storia del trattato non finisce con la firma apposta ieri (6 ottobre 2015) dai ministri dei 12 Paesi: ora la parola è ai Parlamenti e in alcuni casi — Giappone, Vietnam e, soprattutto, Stati Uniti — le opposizioni sono fortissime. A Washington Obama spera di spuntarla grazie all’«anomala» alleanza che ha stretto coi repubblicani, ma ha contro quasi tutto il suo partito (Hillary Clinton compresa), i sindacati, alcuni grandi gruppi industriali come la Ford e anche Donald Trump che, cavalcando una deriva populista, prende le distanze dal suo partito e definisce il Tpp un pessimo accordo.

About this publication