Barack Obama ha deciso: abbandonerà l’idea di riportare a casa tutti i militari americani prima della scadenza del suo secondo mandato, uno dei principali impegni presi in campagna elettorale, e 5.500 militari americani resteranno in Afghanistan dopo il 2016. Lo riferiscono fonti ufficiali. Il presidente americano annuncerà la decisione oggi dalla Casa Bianca. Da giorni giravano indiscrezioni di stampa secondo le quali Obama stava valutando di lasciare in Afghanistan un numero di truppe più alto del previsto, fino a 5000 unità, anche oltre il 2016, ovvero la scadenza del suo secondo mandato. Era stato il Washington Post a riferirlo per primo citando fonti informate: a quanto risulta il presidente si sarebbe basato su un piano presentato lo scorso agosto dall’allora capo di stato maggiore interforze generale Martin Dempsey.
Dopo la clamorosa conquista di Kunduz da parte dei talebani, il generale americano John Campbell, comandante della missione Nato ‘Resolute Support’, ha chiesto a Obama di interrompere il ritiro delle 10mila truppe Usa e il Pentagono sta chiedendo lo stesso ai principali alleati della missione: i tedeschi, che comandano il settore nord (compresa Kunduz), e gli italiani, che mantengono invece il comando del settore ovest (Herat, Farah,Badghis e Ghor).
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L’Italia cosa farà? Solo dieci mesi fa il ministro della Difesa Roberta Pinotti annunciava in Parlamento il ritiro del contingente italiano entro la fine del 2015: “Alla fine di ottobre 2015 terminerà la nostra presenza nell’area di Herat e rientrerà gran parte del contingente. A fine anno rimarranno in Afghanistan, nell’area della capitale, circa 70 nostri militari”. Invece sul fronte afgano ci sono ancora 800 soldati, forze speciali ed elicotteri da combattimento, e il 9 ottobre il ministro ha preannunciato che “l’Italia valuterà se mantenere la propria missione in Afghanistan” come richiesto da Washington.
Intanto sul terreno la guerra ai talebani continua. Dopo l’annuncio del “ritiro” da Kunduz City, i Talebani puntano ad altri capoluoghi di provincia. Con quella che sembra essere una nuova strategia con la firma del mullah Mansour, la battaglia si sposta dai villaggi alle città, dalle zone rurali a quelle urbane. Nel mirino, scrive il Washington Post che cita funzionari governativi e testimonianze cittadini, ci sono Ghazni, principale città dell’omonima provincia orientale, e Qalat, capoluogo della provincia meridionale di Zabul. Scontri si sono registrati negli ultimi giorni nei pressi di Ghazni e Qalat. Due giorni fa il vice governatore della provincia di Ghazni rivendicava l’uccisione di almeno 70 Talebani da parte delle forze di sicurezza in combattimenti nelle zone di Noghi, Qarabagh e Spandi.
Ghazni, a circa 130 km a sudest della capitale Kabul, è una città con oltre 150mila abitanti, in una posizione strategica lungo la principale strada che collega Kabul a Kandahar. I medi afghani nei giorni scorsi hanno riferito di blocchi dei Talebani lungo la ben nota ‘ring road’. A metà settembre un commando di Talebani aveva attaccato la prigione centrale di Ghazni liberando oltre 350 detenuti. “Un gran numero di Talebani ha attaccato la città da tre direzioni – ha detto Mohammad Ali Ahmadi, vice governatore della provincia citato dal Washington Post – Ma sono stati respinti dalle coraggiose forze afghane”.
Da Zabul, a circa 240 km da Kabul, il parlamentare Hamidullah Tokhi ha riferito che “negli ultimi giorni i Talebani hanno ammassato forze arrivate da altre province per un’operazione a Qalat”. “Hanno piazzato mine in vari tratti della strada principale nell’area”, ha denunciato il deputato citato dal Washington Post. Dopo Kunduz City i Talebani hanno attaccato anche Pul-i Khumri, capoluogo della provincia settentrionale di Baghlan, e sono stati respinti dalle forze afghane. Gli insorti restano comunque alla periferia della città. “Puntano al capoluogo – ha detto il capo della polizia di Baghlan, Abdul Jabar Purdeli – Vogliono conquistare le città”.
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