Paris, a Week of Hoaxes: WhatsApp, Politicians, Conspiracies

<--

Parigi, una settimana di bufale: WhatsApp, i politici, i complottismi

Dall’allarmante messaggio su cui è intervenuto il premier Matteo Renzi alle più assurde teorie sugli attentati passando per le montagne di immagini frutto di fotomontaggi o riciclate dopo molto tempo e spacciate per altro nei giorni successivi agli attacchi

NON SOLO una settimana di dolore, di indagini serrate ai quattro angoli d’Europa, di allarmi più o meno fondati. Anche una settimana, quella trascorsa dagli attacchi di venerdì 13 novembre a Parigi, piena di bufale (notizie, storie e tesi totalmente inventate) e mezze bufale (fatti veri riaccomodati fuori tempo massimo o in contesti diversi). Tanto che, almeno per quanto riguarda una di queste, perfino il premier Matteo Renzi si è visto costretto a intervenire: ieri mattina, mentre inaugurava il nuovo pronto soccorso dell’ospedale Santo Spirito di Roma, si è scagliato contro l’audiomessaggio circolato da giovedì su WhatsApp nel quale si sente una presunta madre allertare la figlia rispetto a un imminente attentato a Roma, spiegandole di aver scoperto la minaccia dopo aver parlato con “la mamma di Anastasia che lavora al ministero degli Interni”. A quanto risulta, sarà aperta un’indagine probabilmente pe procurato allarme.

Una bufala totale – nella tarda serata di ieri la responsabile si èspontaneamente presentata alla Polizia, ma alcuni aspetti sono ancora da chiarire – smentita appunto del presidente del Consiglio, che ha anche registrato un contromessaggio fatto girare nella giornata di venerdì: “Qualcuno crede di essere simpatico, forse divertente – si sente nella clip del premier – ma non si rende conto che suscita e crea un clima di ulteriore paura, talvolta persino di panico. Io vorrei invitare tutti a non cascarci, a non farvi fregare da questo clima che qualcuno vorrebbe creare”. Le bufale, infatti, lavorano proprio in questo modo: anche se poco o nulla credibili, come la ruggine indeboliscono i nervi e inquinano (a volte ingannandola) la corretta informazione, contribuendo a costruire un clima d’incertezza e sfiducia. Esattamente l’opposto di ciò che occorre in situazioni come quelle che stiamo vivendo.

Nel complesso, da una rassegna delle bufale circolate fin dalla nottata di venerdì 13 fino a oggi, escono quattro macrocategorie colpite: WhatsApp e i social network, le immaginifiche dichiarazioni dei politici di mezzo mondo, tutto il sottobosco di immagini taroccate o recuperate dal passato più o meno recente e spacciate come attuali e, infine, le teorie complottiste (alcune delle quali ai limiti dell’irriferibile). La maggior parte di questi contenuti risulta palesemente priva di fondamento anche a una lettura o a un ascolto superficiale. Eppure in molti sembrano ancora (voler) abboccare.

WhatsApp e i social network

Non solo l’audiomessaggio della mamma allarmata per i luoghi della movida e per i giovani della capitale. L’app di messaggistica è sempre più la piattaforma ideale di catene di Sant’Antonio e panzane micidiali. Fra le altre, relativamente a Parigi, è circolato in questi giorni un messaggio battezzato “On est tous Paris”, Siamo tutti Parigi, con la foto di un bebè che, se cliccata, sarebbe in grado di infettare i dispositivi. Detto che, in generale, è sempre bene non aprire né salvare allegati multimediali di dubbia provenienza (ma le falle più gravi WhatsApp sembra averle mostrate con le vCard, i contatti condivisi) non c’è alcuna segnalazione in merito. E il testo è, al solito, un pastiche di fonti campate per aria.

Quanto ai social network, la bufala che – se non fosse riferita a fatti di una gravità inaudita – sarebbe da definire esilarante è quella legata alla foto del profilo Facebook filtrata dalla bandiera francese. La piattaforma di Mark Zuckerberg ha infatti dato ai suoi membri questa opportunità. Un post, condiviso sullo stesso social, su blog e su altri siti, sosterrebbe che i raffinati hacker dell’Isis (a proposito, un manuale di crittografia scoperto da alcuni ricercatori del Combating Terrorism Center dell’accademia militare West Point non sembra esattamente lusinghiero nei confronti delle loro competenze informatiche) sarebbero in grado di rintracciare tutti gli utenti che hanno modificato in questo modo la foto-profilo. Non serviva ma se ce ne fosse bisogno, la pagina Una vita da social realizzata dalla Polizia di Stato insieme al ministero dell’Istruzione è ovviamente intervenuta sulla questione, così come sullo sconsiderato audiomessaggio WhatsApp. Anche la notizia che i terroristi avrebbero comunicato tramite la chat della PlayStation 4 è tecnicamente una bufala: alla console Sony il ministro dell’Interno belga aveva alluso giorni prima, il 10 novembre.

Le dichiarazioni dei politici

Una delle prime dichiarazioni (vera, ma risalente a mesi fa) finita nel tritacarne di Twitter è stata quella del candidato repubblicano alla presidenza e multimiliardario Donald Trump rispetto alla necessità di armare la popolazione per difendersi da fatti del genere. Twittata il 7 gennaio scorso, è tornata d’attualità tanto da trarre in inganno, nella concitazione delle prime ore, perfino Gérard Araud, ambasciatore transalpino negli Usa, che ha riservato al magnate una risposta al vetriolo. Fra le altre invenzioni, la proposta di Barack Obama di decretare il prossimo dicembre “Mese nazionale dell’apprezzamento dei musulmani” oppure le frasi attribuite al presidente russo Vladimir Putin, che – fedele alla sua immagine coriacea e risoluta – vorrebbe utilizzare armi atomiche contro i terroristi del sedicente Stato islamico. “Perdonare i terroristi spetta a Dio, a me spetta mandarceli”, avrebbe detto come neanche in una puntata di House of Cards avrebbe fatto il suo alter-ego televisivo Viktor Petrov. Nulla di tutto ciò è stato ovviamente pronunciato né al Cremlino né alla Casa Bianca.

Immagini e fotomontaggi

Sotto questo fronte hanno tenuto banco le bombe sganciate dagli aerei francesi su Raqqa, in Siria, due giorni dopo gli attentati nella Ville lumière, sulle quali non era ovviamente scritto “From Paris with Love”. Lo hanno certificato Le Monde e Libération. Così come il fotomontaggio del povero Verendeer Jubbal, il sikh canadese subdolamente trasformato in terrorista. Col Corano al posto dell’iPad e una cintura esplosiva in realtà inesistente. Lo scatto, così sofisticato, è stato pubblicato dal sito Khilafah News, molto vicino alle farneticazioni dei terroristi di Abu Bakr al-Baghdadi.

Nelle ore successive agli attacchi si sono moltiplicate sui social immagini dei monumenti di mezzo mondo illuminati con il tricolore: molti di questi si sono in effetti accesi di blu, bianco e rosso nei giorni seguenti. Ma nell’immediatezza né l’Empire State Building (ma la Freedom Tower) di New York, né il monumento ai caduti della guerra d’Algeria di Algeri né tantomeno le piramidi di Giza, in Egitto, presentavano quell’illuminazione. Non basta: dalle storie confezionate ad arte (come quella della donna scampata a tre attacchi simili o del musulmano Zouheir allo Stade de France) agli scatti di altre manifestazioni (come un evento anti-immigrazione a Dresda, in Germania, del 2014 o una manifestazione palestinese per un cessate il fuoco del 2012) e riciclate nell’immediatezza come prove da una parte della solidarietà tedesca e dall’altra del giubilo di Gaza per i morti parigini. Stesso discorso per un’immagine della band statunitense Eagles of Death Metal: il teatro in cui erano ripresi in una foto rilanciata sui social era l’Olympia di Dublino e non, ovviamente, il Bataclan. Perfino un progetto artistico del 2008 intitolato “Silent Witness”, firmato dal duo Lucie & Simon e dedicato al futuro delle città senza l’uomo è stato spacciato come l’immagine di una Parigi deserta la mattina seguente gli attentati. Altra bufala circolata nelle prime ore è stata quella sull’origine di un incendio al campo profughi di Calais (accidentale e non dolosa, la foto circolata era fra l’altro di un altro rogo del 2 novembre). Di simili scatti – riciclati o artefatti – ne sono stati rilanciati a decine.

Complotti e dietrologie

A parte le solite teorie numerologiche – gli attentati sarebbero avvenuti 11 mesi e 9 giorni dopo l’attacco alla redazione del giornale Charlie Hebdo, un evidente rimando all’11 settembre, peccato che il periodo trascorso, lo si capisce anche a occhio senza far calcoli, era in realtà di 10 mesi e 6 giorni – ne sono sbocciate anche delle altre a dir poco biasimevoli. Su tutte quella di un complottista italiano di professione che sul suo profilo Facebook ha messo in dubbio la presenza di vittime nonché, fra di esse, quella della giovane italiana uccisa alla sala per concerti, Valeria Solesin. La tesi? Non sarebbero esistiti profili Facebook a lei riconducibili. Altre teorie vorrebbero in azione i servizi segreti russi, rei di aver messo in piedi un fatto del genere, insieme agli omologhi transalpini, per spingere i francesi ad aumentare la propria presenza nei raid sui territori occupati dall’Isis. Altri esperti dell’intrigo hanno invece scomodato le solite sigle statunitensi. Qualcuno perfino Papa Francesco. Infine, purtroppo nessuno – se non, forse, i servizi segreti francesi, quelli veri – sarebbe stato in grado di prevedere un attacco simile: certo non l’intervento sul forum di un sito dedicato ai videogiochi (Jeuxvideo. com) finito sulla piattaforma Reddit in cui si annunciavano esplosioni, granate e kamikaze. Quel messaggio, pur con la coincidenza dei giorni novembrini, era del settembre 2014.

About this publication