The Clinton-Trump Challenge for the White House: the Most Anomalous Election in History, Based on Hatred

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La sfida Clinton-Trump: per la Casa Bianca l’elezione più anomala della storia. Basata sull’odio e antipatia

Da una parte il tycoon bugiardo, dall’altra l’antipatica Hillary: nelle urne l’8 novembre molti americani voteranno turandosi il naso

dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI

NEW YORK – Per la corsa alla Casa Bianca entriamo in dirittura finale, il vero conto alla rovescia comincia adesso. La saggezza convenzionale dice che una parte degli americani – forse piccola, ma sono proprio quegli elettori indecisi che possono fare la differenza – comincia solo ora a focalizzarsi sull’elezione. È passata la festa nazionale del Labor Day, le scuole si sono riaperte, tutti sono rientrati dalle vacanze.

Il 26 settembre si tiene il primo duello televisivo diretto fra Hillary Clinton e Donald Trump. I sondaggi che contano – ammesso che siano ancora affidabili i sondaggi – sono quelli che escono adesso.

Una cosa è certa: si conferma che questa del 2016 è una campagna anomala, forse unica nella storia. Per più di un motivo. Anzitutto perché sono arrivati in finale i due candidati più odiati della storia. Proprio così: le indagini demoscopiche segnalano questo dato eccezionale, mai prima d’ora si erano affrontati due candidati che cumulano percentuali così elevate di giudizi negativi, che concentrano su di sé tanta antipatia, diffidenza, ostilità.

È l’elezione dei negativi, in un certo senso: forse vincerà che riesce a convincere che l’altro o l’altra è ancora peggio. Molti, a sinistra come a destra, andranno a votare turandosi il naso, pur di evitare l’Apocalisse. Da un parte c’èun tycoon che più che imprenditore va definito affarista, e di dubbio talento: ha fatto quattro o sei volte bancarotta (nel mondo di Trump l’opacità è tale che perfino contare le bancarotte è materia controversa), è inseguito da clienti e fornitori che si dicono derubati e truffati, rifiuta di divulgare le proprie dichiarazioni dei redditi; ha un solo vero successo al suo attivo ed è uno show televisivo.

Trump il bugiardo seriale, ha accumulato menzogne che in altre epoche avrebbero stroncato le carriere politiche (disse che Obama era nato all’estero e musulmano; che gli immigrati arabi del New Jersey festeggiarono in piazza per il crollo delle Torri Gemelle l’11 settembre; e tanto altro ancora). Trump xenofobo, misogino e così via. Il solo personaggio Trump di per sé basta a definire anomala questa elezione: 15 mesi fa all’annuncio della sua candidatura nessuno lo prese sul serio, nessuno pensò lontanamente che potesse arrivare in finale, tantomeno all’interno del partito repubblicano il cui establishment schierava ben 16 candidati alternativi.

Ma visto da destra, perfino da alcune frange della destra tradizionale e moderata, il tycoon è ancora il male minore rispetto al demonio in persona,Hillary Clinton, “crooked Hillary”, la disonestà fatta persona. È la fama che insegue da sempre il clan dei Clinton: quelli che pensano che le regole si applicano solo agli altri, vedi il caso delle email private di Hillary, tassativamente vietate per chi fa il segretario di Stato.

Vedi ancora la Fondazione Clinton, che all’attività filantropica una gigantesca macchina di relazioni pubbliche, dove chi pagava di più aveva accesso alla signora segretario di Stato, foss’anche un governo autoritario e dispotico come l’Arabia saudita. In un’era di rivolta contro le élite, paradossalmente è Hillary ad avere la parte peggiore: più di Trump è lei ad avere incollata addosso l’etichetta infamante di “membro dell’establishment, del ceto politico di professione, della casta”.

Altra anomalia: non si direbbe davvero che questa sia una campagna elettorale che viene al termine di sette anni di ripresa economica. E 15 milioni di lavoro creati. Non è una crescita “fasulla”, tant’è che l’indice di approvazione verso Barack Obama è altissimo per un presidente giunto al termine del suo secondo mandato, al 54% è quasi un record storico. E tuttavia questa crescita non ha curato tutte le ferite aperte dal crac sistemico del 2008. Non ha ridotto le diseguaglianze, al contrario le ha aumentate. Non ha fatto rinascere il Sogno Americano: la mobilità sociale è bassa, i giovani per ottenere una buona laurea devono indebitarsi per tutta la vita. Pezzi interi del tessuto sociale portano cicatrici forse eterne da globalizzazione.

L’identikit dell’elettore-tipo di Trump? E’ un maschio adulto, bianco, 55enne, con basso titolo di studio, ex operaio licenziato quando una grande fabbrica del Midwest ha chiuso per essere delocalizzata in Cina. Poi, trovandosi in America e non in Europa, lui un posto lo ha ritrovato. Ma come fattorino di Amazon, cassiere di Walmart, o cameriere di MacDonald’s. E la sua busta paga è la metà di quella che aveva da operaio. Magari la moglie lo ha lasciato, e lui fa fatica a pagarle gli alimenti; o non li paga affatto ed è inseguito da ingiunzioni giudiziarie. Ha perso ogni stima di se stesso: come lavoratore e come uomo, padre, marito.

È in questa fascia socio-demografica che aumentano i suicidi o le morti da overdose per metanfetamine. Poi c’è anche un’altra categoria di elettori di Trump, i razzisti puri e semplici. Magari non stanno peggio di prima, ma si sono convinti che ormai in America “comandano gli altri”: i neri che hanno conquistato la presidenza, gli ispanici; e lo Stato si occupa solo di loro, l’unica minoranza che non ha aiuti e deve solo pagare le tasse sono i bianchi.

C’è infine una terza America sospesa in un limbo, un paese di mezzo che non ha davvero conosciuto ondate migratorie poderose come quelle della East Coast e West Coast, ma teme l’imminente arrivo di un’ondata di stranieri; vede un futuro in cui il tenore di vita dei figli sarà inferiore a quello dei genitori. Vede un mondo nel caos e un’America meno rispettata di prima, incapace di imporre un ordine e una stabilità.

Una parte delle paure che agitano il popolo di Trump, hanno un riflesso speculare in quella base di sinistra che votò per Bernie Sanders alle primarie. Il rifiuto della globalizzazione. La condanna di un capitalismo fatto su misura per l’1% più ricco. La corruzione della politica, corruzione legalizzata da scandalose leggi e sentenze costituzionali che hanno abbattuto ogni limite ai finanziamenti delle lobby. Un capitalismo oligarchico, una democrazia truccata. Hillary deve fare un miracolo vero per portare al voto i tanti fan di Sanders che la considerano parte di quel sistema corrotto. Giovani, neri, ispanici: se tutti i “tendenzialmente democratici” voteranno per lei, dovrebbe vincere.

L’America è spaccata in due, ma con una leggera superiorità dei democratici. I quali però sono anche i più propensi ad astenersi, se il loro candidato non li entusiasma. Più che sull’entusiasmo, Hillary forse dovrà fare leva sulla paura.

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