Hillary vs Trump 2: US Media Expect ’29 More Days in the Mud’

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Hillary-Trump 2, i media Usa: “Ci attendono altri 29 giorni di fango”

Un momento del secondo duello tv Clinton-Trump (afp)

Nei commenti del giorno dopo, le più influenti testate americane si soffermano sul rancore e l’aggressività che hanno connotato il secondo duello televisivo tra i candidati alla successione di Obama. Perché di tasse, sanità, terrorismo e politica estera questa volta si è parlato poco. Quanto ai sondaggi, nulla indica che il dibattito possa alterare la tendenza pro-Hillary

dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI

NEW YORK – Un dibattito “brutale”, lo definisce Politico.com che aggiunge un’amara ma inevitabile previsione: “Altri 29 giorni di fango”. Il New York Times parla di “colpi bassi”, in un periodo in cui pare che le parti basse dell’anatomia abbiano preso il sopravvento. Il Wall Street Journal definisce il dibattito “rancoroso”, quasi un understatement. Il giorno dopo il secondo duello televisivo fra Hillary Clinton e Donald Trump, i commenti dei media americani guardano più allo stile che alla sostanza. Perché, in fondo, lo stile è diventato la sostanza: di programmi di governo (tasse, sanità, terrorismo, politica estera) si è parlato poco e senza che emergessero novità nei contenuti; ciò che tutti ricorderanno di quella serata sarà l’aggressività ai massimi, e la delegittimazione reciproca.

I primi sondaggi che escono danno una netta vittoria a Hillary, ma non vanno presi troppo alla lettera. L’esperienza insegna che per misurare gli effetti di un dibattito tv fra candidati, e sondare un campione di elettori in modo accurato, ci vogliono dai quattro ai sette giorni. Comunque il duello di ieri sera probabilmente non sposterà molto. Anche perché è stato quasi offuscato, in quanto a visibilità mediatica e impatto emotivo, dal video del 2005 dove Trump si vantava di afferrare le sue prede femminili dalle parti intime, lo scandalo che ha occupato i media durante tutto il weekend. Comunque, nei sondaggi era già in atto una chiara rimonta di Hillary, iniziata subito dopo il primo duello tv del 26 settembre. Nulla fa presumere che quella tendenza debba interrompersi proprio ora.

In quanto all’establishment repubblicano, già si spengono le sue velleità di insurrezione anti-Trump. Il candidato è quello, non si cambia cavallo a 29 giorni dal traguardo finale. Paul Ryan, che è la più alta carica istituzionale del partito come Speaker of the House (l’equivalente del nostro presidente della Camera) già sabato aveva capito l’antifona. Ryan aveva condannato subito e duramente le volgarità sessiste di Trump, ma si era ben guardato dal ritirargli l’endorsement, tanto meno aveva evocato lo scenario fantapolitico di un cambio di candidato. L’unica cosa che Ryan può e deve fare, è quella che sta facendo: smette di far campagna per Trump e si concentra invece sulle elezioni legislative.

L’8 novembre oltre a designare il loro nuovo presidente gli americani votano per rinnovare l’intera Camera (435 deputati) più un terzo del Senato (34 su 100 senatori). Attualmente sia la Camera che il Senato hanno maggioranze repubblicane. Gli scenari prevalenti nei sondaggi dicono che è quasi impossibile per i democratici riconquistare una maggioranza alla Camera, mentre è alla loro portata una maggioranza (forse esile) al Senato. Ryan si concentra sulla missione “salvare il salvabile”. Ridurre ai minimi le perdite non è facile, qualora Trump vada incontro ad una sconfitta netta, e nell’ipotesi (storicamente frequente) che gli elettori travasino i voti per la candidata democratica alla Casa Bianca anche in favore dei suoi compagni di partito alla Camera e al Senato. L’esercizio acrobatico di Ryan e di molti candidati repubblicani al Congresso consiste nel fare campagna contro Hillary ma prendendo le distanze quanto più possibile da Trump. Triplo salto mortale con avvitamento.

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