Elezioni Usa, l’ultimo dibattito Clinton-Trump è quasi una rissa
Accuse reciproche e toni duri. Il terzo confronto è quello più favorevole al candidato repubblicano, ma bisognerà vedere se questo basterà a invertire la tendenza che lo vede in calo nei sondaggi
LAS VEGAS – “Questa elezione è truccata. Non so se accetterò il risultato. Dipende. Ve lo farò sapere al momento giusto. Hillary non doveva neppure essere autorizzata a candidarsi”. È finito in rissa, il terzo ed ultimo duello televisivo fra Hillary Clinton e Donald Trump. “È orribile. Non è così che funziona la nostra democrazia, Trump sta denigrando la democrazia americana”, ha ribattuto la candidata democratica di fronte allo strappo del suo rivale. Che minaccia un gesto senza precedenti: il rifiuto di concedere la vittoria non si è mai visto. Il clima torrido del Nevada (canicola estiva) è diventato ancora più rovente dentro la University of Las Vegas malgrado l’aria condizionata. La conduzione di Fox News, tv di destra, e il fatto che Trump qui si sente a casa sua (possiede un hotel casinò) forse hanno aiutato a fare di questo match il più favorevole su tre, per il repubblicano. Più sicuro di sé, spesso all’attacco. Se questo basti a invertire il suo calo nei sondaggi, è presto per dirlo. I “terzi dibattiti” solitamente non sono decisivi perché il numero di elettori indecisi si è assottigliato. Ma questa è un’elezione anomala e i precedenti non sono per forza indicativi.
I primi dieci minuti hanno messo in scena un Trump inedito, voce bassa e toni cauti. Gli scambi iniziali sono scivolati via tranquilli, senza interruzioni. Sulla Corte suprema, dove è vacante da mesi un seggio dopo la morte di Antonin Scalia, perché i repubblicani si rifiutano di dibattere il candidato di Barack Obama. La Clinton ha promesso che in caso di vittoria nominerà un giudice disposto a cancellare Citizen United, la famigerata sentenza del 2010 che consente finanziamenti privati illimitati alle campagne elettorali. Trump invece ha garantito la nomina di un giudice che difenderà il Secondo Emendamento, cioè il diritto alle armi. Lui si è dichiarato anti-abortista, lei ha detto che “non tocca ai governi decidere la scelta più difficile e dura che una donna deve fare, non dobbiamo diventare come la Cina o la Romania”. Fin qui ciascuno ha parlato alle sue constituency e Trump ha fatto del suo meglio per rassicurare i repubblicani e la destra religiosa sulle sue credenziali di conservatore.
Il clima ha cominciato a scaldarsi sull’immigrazione. Trump ha citato “quattro donne che sono nel pubblico stasera e hanno perso i loro figli uccisi da criminali immigrati”. Ha detto che “non abbiamo più una frontiera, non abbiamo più una nazione”. Lei ha raccontato di avere incontrato proprio qui a Las Vegas una giovane ragazza “terrorizzata all’idea che i suoi genitori possano essere deportati; io non spaccherò queste famiglie con le espulsioni di massa che minaccia Trump”.
Lo scambio si è incattivito su Vladimir Putin. “Trump dica chiaramente stasera che condanna lo spionaggio russo, l’interferenza degli hacker di Mosca in questa campagna è inaccettabile”. Lui non ha ceduto, anzi ha difeso il leader russo: “Putin ad ogni occasione si è mostrato più furbo di Obama e della Clinton. Preferisco andare d’accordo coi russi”. Lei ha concluso: “Putin vuole un suo burattino come presidente degli Stati Uniti”.
Da lì in poi è stata spesso una rissa, come negli altri due dibattiti. Sull’economia i due hanno ribadito ricette antagoniste: la Clinton propone politiche redistributive per finanziare gli investimenti pubblici e il diritto allo studio, lui punta su massicci sgravi fiscali alle imprese. Ma anche su questo terreno si è passati agli attacchi personali, con Trump ancora una volta a condannare il “peggiore trattato commerciale della storia, il Nafta firmato da Bill Clinton”, e lei ad accusarlo di importare acciaio cinese per i suoi cantieri.
Uno degli attacchi preferiti di Trump: “Sei al potere da 30 anni e non hai combinato nulla di buono, perché dovresti farlo adesso?”. Lei gli ha rinfacciato le due carriere parallele: “Lavoravo al fianco di Obama per la cattura di Bin Laden, tu facevi il conduttore dello show televisivo The Apprentice”. Poi di nuovo gli scandali sessuali, nove donne che accusano Trump di molestie, e lui che ha ribattuto: tutto falso, è Hillary ad averle istigate. Poi è passato al contrattacco sulle 33.000 email nascoste dalla Clinton, e ha definito la fondazione filantropica dei coniugi Clinton “un’impresa criminale”. Lei ha elencato – ben oltre le donne – tutte le categorie che il tycoon ha offeso: ha insultato i genitori di un soldato musulmano morto al fronte con la divisa americana, ha sbeffeggiato i disabili, ha offeso un eroe di guerra come John McCain. “Sei dark, sei cupo, vuoi dividere gli americani, io voglio unirli”. E l’ha bollato come “il candidato più pericoloso della nostra storia”.
Ma lui è tornato a descrivere un’America dove “l’esercito è a pezzi, la polizia non viene rispettata, i quartieri degradati delle nostre città sono un inferno”. Per chi ha questa visione pessimista dell’America, è stata una serata in cui Trump ha ritrovato grinta e ferocia. Resterà però come il tratto saliente di questo dibattito lo strappo rispetto alla tradizione, la minaccia di non accettare il risultato finale. Se sarà lei a vincere, “la disonesta Hillary”, naturalmente.
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