Come sarà la «Space economy» nell’era Trump
Lo Spazio e la sua esplorazione rappresenta per gli americani, fin dal 1950, la “frontiera”, la versione moderna della corsa all’Ovest, quella con i carri trainati da cavalli, celebrata in decine di film più che classici e che comunque ha fatto grande quel Paese.
Se questo è vero lo è altrettanto che c’è modo e modo di partecipare all’esplorazione, o conquista come di diceva in epoca pre politically correct, del Sistema solare e oltre. La domanda ora è: che ne farà il presidente eletto, Donald Trump, della politica spaziale made in Usa?
Diciamo subito che, stando almeno a dichiarazioni degli ultimi mesi e qualche raro atto concreto, lo Spazio se la cava meglio di tante altre branche della scienza e tecnologia, come quel che gira attorno al riscaldamento globale e alla green economy, che Trump ha più volte dichiarato essere una gigantesca, per quanto ben orchestrata, bufala creata per tenere al palo l’industria americana.
Se quindi il futuro Presidente dichiara apertamente che l’esplorazione spaziale ha dato tanto all’America e gli americani ne debbono esserne orgogliosi e anzi, attenzione, che un buon programma spaziale può anche incoraggiare i giovani a riversarsi sulle discipline Stem, scientifiche in sostanza, da un’altra non dimentichiamo che gran parte dell’attività spaziale è legata all’osservazione della Terra. E qui magari se la vedono mica tanto bene quelli che lavorano sulle Scienze della terra, che utilizzano decine di satelliti per studiare i mari, gli oceani, i venti, lo scioglimento dei ghiacci, le temperature, El Nino e la lista sarebbe infinita. Tutta roba che, ahimè, porta gli scienziati a dire che siamo inquinati come non mai e ci stiamo riscaldando in modo devastante.
I primi commenti a livello internazionale scommettono quindi sulle missioni con astronauti, lo sviluppo e commercializzazione di tecnologie e servizi utili, mentre prevedono il depotenziamento dell’osservazione e monitor della Terra. Vedremo se sarà così perché a questo ultimo titolo sono legati tanti interessi quanti agli altri.
Ma che Trump cambierà la politica spaziale e la direzione presa da Nasa negli anni di Obama è piuttosto certo, e non sarà una azione particolarmente originale, ma semplicemente quel che hanno fatto praticamente tutti i Presidenti americani, da Eisenhower che istituì l’Agenzia negli anni ’50 per rispondere allo Sputnik sovietico a JFK, che rischiò il tutto per tutto promettendo la Luna negli anni ’60 e via via fino a Obama che semplicemente cancellò la politica spaziale dell’amministrazione Bush, aprendo ai “privati” la corsa allo spazio. Una mossa geniale e incredibilmente efficace quest’ultima, visto che oggi proprio i consiglieri di Trump si trovano a dire che occorre dare più spazio alla SpaceX di Elon Musk e a tutte le altre sorte nel frattempo, come Blue Origin di Jeff Bezos, il patron di Amazon.
Gli americani sanno d’altronde da molto più tempo rispetto a noi europei che la Space Economy, di cui oggi si parla parecchio anche nel nostro Paese, è in crescita costante e progressiva, e che siamo probabilmente in prossimità di un suo aumento impulsivo. Robert Walker, un ex deputato al Congresso americano, è il consulente per lo Spazio del Presidente eletto Donald Trump, e il 26 ottobre in un convegno pubblico ha ammesso di aver preparato un documento in nove punti per la nuova politica spaziale americana. Dovrà essere «visionaria, distruttiva, coordinata e resiliente», parola quest’ultima, evidentemente di moda anche dall’altra parte dell’Oceano anche se, come qui da noi, non sempre si capisce cosa vuol dire nel caso in esame.
Per Walker lo spazio dovrà tornare decisamente sotto la leadership americana e produrre tecnologia, sicurezza e posti di lavoro. Per questo verrà resuscitato il dormiente Comitato Nazionale per lo Spazio, con a capo il vice presidente Usa, per assicurare il coordinamento fra enti e privati. L’uomo poi dovrà non fermarsi a Marte ma, per la fine del secolo, dovrà visitare tutto il sistema solare, questione questa molto dibattuta anche in passato perché non si capisce cosa andiamo a fare con un astronauta sul gassoso e freddo Saturno, ma che porterà comunque o sviluppo di tecnologie oggi impensabili, come fu per la corsa alla Luna. Poi aumento del numero di piccoli satelliti e sviluppo di tecnologie, specie militari, per il volo ipersonico. La Nasa infatti (noi europei tendiamo a dimenticarcelo) deve sviluppare anche la ricerca sul volo aereo, ammesso che a questo punto si possa ancora chiamarlo tale.
L’amara sorpresa viene alla fine, al punto 4 del documento Walker: i satelliti per le scienze della Terra e del clima passano al potente e importante Noaa, National Oceanic and Atmospheric Administration, grande ente e grande professionalità e utilità, ma certo a gestire satelliti Nasa ci prende di più.
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