Trump’s Break with China over Taiwan Risks Destabilizing Asia

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Usa-Cina, lo strappo di Trump su Taiwan rischia di destabilizzare l’Asia

Il presidente eletto degli Stati Uniti sorpreso dalle reazioni negative alla telefonata con cui ha rotto con 40 anni di relazioni diplomatiche tra Washington e Pechino. Con un tweet fa sapere che è stata la presidente dell’isola a chiamarlo. E forse a tendergli la trappola. Ma già in campagna elettorale aveva attaccato i cinesi per concorrenza sleale promettendo di alzare la barriera dei dazi

NEW YORK – L’inaudito strappo diplomatico, che rompe con quarant’anni di diplomazia Usa-Cina e con il principio per cui esiste una sola Cina riconosciuta dagli Usa, è un gesto che apre scenari destabilizzanti in tutta l’Asia, anche se per adesso Pechino ha scelto di prendersela soprattutto con la presidente taiwanese, quasi per dare a Donald Trump una possibilità di “redimersi”. Ma non va dimenticato che lo stesso Trump in campagna elettorale auspicò che Giappone e Corea del Sud si dotino dell’arma atomica, uno strappo con la politica estera americana dalla seconda guerra mondiale in poi.

In parte Trump sembra essere stato colto di sorpresa dalle reazioni già ieri sera, visto che ha twittato la sua precisazione “CALLED ME” (mi ha chiamato lei). E’ possibile che Trump sia caduto nella trappola della presidente taiwanese per inesperienza, incompetenza, e soprattutto per mancanza di adeguati consiglieri nonché per il suo rifiuto di farsi assistere dall’attuale personale del Dipartimento di Stato (proprio ieri il New York Times ricostruiva la costernazione dei diplomatici che su vari dossier gli hanno offerti i loro servigi, inascoltati). Tutti problemi che comunque rischiano di segnare la sua presidenza: abbiamo visto durante tutta la campagna elettorale che un tratto forte della sua personalità è proprio l’impulsività e il NON ascoltare i consiglieri più esperti e moderati.

D’altra parte c’è un metodo anche nel gesto di ieri. Dall’inizio Trump ha mostrato di voler sfidare le convenzioni e spostare i confini del “politically correct” in tutti i campi. Compresa la politica estera. Ha detto alla premier britannica Theresa May che gli piacerebbe avere Farage come ambasciatore inglese a Washington (inaudito che un Paese voglia “scegliersi” gli ambasciatori altrui). Ha detto che inviterà il leader filippino Duterte, il capo degli squadroni della morte che insultò ripetutamente Obama.

Sulla Cina, Trump non ha mai nascosto i suoi propositi bellicosi. Con il Messico è il Paese che lui ha attaccato sistematicamente per concorrenza sleale e per avere contribuito alla deindustrializzazione degli Stati Uniti. Ha più volte minacciato dazi (fino al 45%) sul made in China. Quindi non è affatto escluso che abbia voluto mettere alla prova i cinesi, in quella che rischia di diventare una guerra di nervi molto tesa, in cui alternerà propositi rassicuranti e provocazioni. Certo, appaiono già lontanissimi gli anni di Obama, presidente che riuscì faticosamente a portare la Cina dentro l’accordo di Parigi sull’ambiente…

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