Trump Threatens Relations with Taiwan; Beijing ‘Extremely Concerned’

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Usa-Cina, Trump minaccia relazioni con Taiwan: Pechino “fortemente preoccupata”

A pochi giorni dalla telefonata con la leader taiwanese Tsai, il presidente cita tra i fattori di malcontento le politiche monetarie cinesi e la posizione ambigua con la Corea del Nord. Global Times: “Ripagare provocazioni appoggiando militarmente i nemici di Washington”

PECHINO – La mossa del Dragone spiazza non solo l’America ma il mondo intero: se Donald Trump continua a mettere in discussione i rapporti con la Cina allora a Pechino non resterà che armare i nemici degli Stati Uniti. E quindi anche la Corea del Nord che gioca alla bomba atomica con Kim Jon-un?

Non si scherza con il fuoco e la sfida adesso s’è fatta troppo incandescente anche per la proverbiale pazienza del gigante d’Oriente: “Abbiamo preso atto di queste importanti dichiarazioni e siamo seriamente preoccupati”. Il portavoce del ministro degli Esteri Geng Shuang dosa le parole come solo i diplomatici sanno fare dopo che il presidente eletto ha detto a Fox News di non sentirsi “obbligato al rispetto della politica di una Cina sola a meno che non facciamo un accordo anche sul resto”.

La politica di una Cina sola è quella che senza mai esplicitarla gli Usa e il mondo intero hanno accettato dai tempi di Richard Nixon prima e Jimmy Carter dopo. Per l’Occidente vuol dire che all’Onu siede appunto la Cina comunista e i rapporti diplomatici ufficiali con Taiwan li conserva ormai soltanto il Vaticano: che pure separatamente sta trattando con Pechino sulla questione della nomina dei vescovi e della libertà di religione.

Ma la telefonata di The Donald alla presidente di Taiwan Tsai Ing-wen, ovviamente non riconosciuta da Pechino, per cui l’isola fa parte del suo territorio, ha complicato eccome le cose. È chiaro ormai a tutti che il tycoon vuol far leva sull’isola un tempo conosciuta come Formosa per costringere Pechino a trattare come lui stesso apertamente dice sul resto: cioè import, export, manipolazione dello yuan. È la paventata guerra commerciale. Che rischia però di portare a una guerra vera. “La politica di una sola Cina è il fondamento per il sano sviluppo delle relazioni con gli Usa” dice ancora il ministero degli Esteri. “Se questo fondamento viene alterato, non c’è più terreno per il dialogo e l’ulteriore sviluppo di sane e stabili relazioni tra la Cina e gli Usa”, oltre naturalmente alla fine della “loro cooperazione bilaterale in tutti gli aspetti”.

È una dichiarazione se non di guerra di ciò che la precede: cioè della rottura delle relazioni diplomatiche. Ma il linguaggio che non può permettersi la diplomazia può facilmente usarlo la politica militante. E il Global Times non teme di chiamare Trump “un bambino immaturo” e “un ignorante” che pensa “che tutto sia business e abbia un prezzo”. Come vuole che adesso reagisca la Cina? “Dimostreremo che gli Stati Uniti non dominano più da un pezzo lo stretto di Taiwan”. E certo: ci sono 1000 missili puntati laggiù e una legge approvata a Pechino 11 anni fa dice che la Cina ha il diritto di intervenire con la forza se l’isola dichiara l’indipendenza.

Già nel weekend Taipei ha lamentato le esercitazioni troppo ravvicinate alla costa: “Ben altre arriveranno” insiste il giornale espressione del partito. Di più. “Se Trump abbandona la politica di una sola Cina, sostenendo pubblicamente l’indipendenza di Taiwan, la Cina non avrà più modo di allearsi con Washington sulle questioni internazionali e contenere le forze ostili agli Stati Uniti”. Non basta. Pechino potrebbe addirittura “offrire sostegno, anche assistenza militare ai nemici degli Usa”. Parole così pesanti che risuonano con terrore in tutto il mondo.

Il nome, ovviamente, non ha ancora il coraggio di sussurrarlo nessuno: ma come non pensare proprio alla Corea del Nord? Sempre Trump ha accusato Pechino di non fare abbastanza per portare a più miti consigli il dittatore di Pyongyang: lui che in campagna elettorale aveva promesso di risolvere la questione dell’atomica andandosi a prendere un hamburger con il giovanotto che tiene sotto scacco il mondo. Invece Pechino proprio l’altra settimana ha detto sì insieme agli Usa a nuove sanzioni. E in questi giorni qui in tv non si fa che ripetere che “la Cina ha bloccato le importazioni di carbone”: che sono il 97 per cento delle risorse rimaste allo staterello rosso.

Le urla di mister Trump adesso rischiano di complicare tutto. Sempre che restino davvero soltanto urla. Quando si passa ai fatti il presidente eletto sembra molto più pragmatico: come quando pochi giorni fa ha deciso di mandare qui come ambasciatore quel Terry Brandstad che è amico personale di Xi Jinping da trent’anni. È quello che pensa l’esperto Victor Gao Zhikai apparendo ai microfoni di Cctv: “Una volta che sentirà sulle spalle il peso della presidenza diventerà più ragionevole”. E no che non è l’unico a sperarlo, il professor Zhikai, in questo mondo ormai appeso a un filo atomico.

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