Neil Gorsuch, the Man Who Holds the Future

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Neil Gorsuch, l’uomo che tiene il futuro

La nomina alla Corte Suprema è la prima mossa politica e non propagandistica di Trump

Con la scelta del giudice Neil Gorsuch per occupare il nono seggio vacante nella Corte Suprema degli Stati Uniti, lasciato aperto undici mesi or sono dalla morte improvvisa di Antonin Scalia, il presidente Trump cerca di passare dalla cronaca politica e della propaganda alla storia. I decreti esecutivi che ha freneticamente firmato nei suoi primi 11 giorni dalla scrivania nella Studio Ovale sono sensazionali gesti spesso più studiati per la loro spettacolarità che per la loro efficacia reale e possono essere cancellati, o rovesciati, con la stessa facilità con la quale sono stati scritti, non essendo gli Stati Uniti – almeno non fino a Trump – una monarchia assoluta.

Ma la Corte Suprema, dove i nove magistrari massimi siedono a vita, o fino a quando lo desiderino, essendo in pratica inamovibili (soltanto due giudici, in 220 anni, sono stati incriminati e soltanto uno costretto a dimettersi nel 1969 sotto minaccia di condanna penale) è l’organismo che più di ogni altro scolpisce i tratti della società americana. Le sue sentenze, prodotte a maggioranza semplice anche di cinque contro quattro hanno realmente, e non retoricamente, cambiato la Storia. Fu la Corte Suprema, nel 1857, a dichiarare la legittimità della schiavitù, così rendendo inevitabile la Secessione del Sud e la Guerra Civile, come fu sempre la Corte Suprema a stabilire nel 1954 la inconstituzionalità della segregazione per razze. Nella causa di Roe vs Wade fu riconosciuto il diritto costiuzionale all’aborto volontario e nel 1973 venne sancito il limite dei “privilegi esecutivi” costringendo Richard Nixon a pubblicare i nastri con le registrazioni dei suoi colloqui che segnarono il suo destino. Come di nuovo fu la Corte Suprema, nel 2000, a portare Bush alla Casa Bianca bloccando, per cinque voti a quattro, ogni ulteriore contestazione sui voti.

Gorsuch, il prescelto da Trump, sarà, se approvato dal Senato, il nono giudice, l’uomo dello spariglio in una Corte divisa oggi fra “liberal”, progressisti e conservatori. Dunque sarà il voto che deciderà se il diritto d’aborto resta costituzionalmente valido, se le unioni fra persone dello stesso sesso sono legittime, se eutanasia e suicidio assistito sono permissibili, se il finanziamento delle campagne elettorali e dei candidati non deve conoscere limitazioni. E sicuramente, visto il temperamento e l’irruenza di Trump, sarà chiamata di nuovo a deliberare sui limiti del potere esecutivo, cioè del Presidente.

Dunque in questa fase della vita nazionale, Neil Gorsuch, un uomo del West, un figlio del Colorado, un giurista dalle credenziali accademiche stellari, compreso un dottorato a Oxford, e dalla carriera impeccabile, è la persona che tiene in mano le chiavi della prossima società americana e, per riflesso, di molte altre comunità fuori dai confini.

La sua storia, i suoi scritti, il suo unico libro sul tema “Suicidio Assistito ed Eutanasia”, le sue sentenze, compresa una di condanna a parte della riforma sanitaria di Obama, dicono senza dubbio che Gorsuch è un conservatore, uno stretto osservante della dottrina dell'”originalismo”, quella che il giudice Scalia leggeva come l’adesione più stretta alle intenzioni originali degli autori della Costituzione, senza interpretazione e letture ulteriori.

Ma non è, dicono gli studiosi della Corte Suprema, un fanatico, un ideologo, certamente non un improvvisatore come il presidente che lo ha scelto per assecondare le preoccupazioni di quella destra repubblicana moderata sbigottita dall’irruenza di Trump, disgustata da azioni come il bando farfiugliante contro viaggiatori dotati di visti e permessi di soggiorno regolari, e desideroso di una svolta conservatrice senza sterzate imprudenti.

E’ una scelta poco trumpista e molto “establishment” quella del 49enni giudice di Corte d’Appello – la più alta magistratura nazionale prima della Corte Suprema – segnata da una fama di “moderatio” che Gorsuch, cresciuto in una famiglia di fedeli reaganiani, si porta dietro, la prima scelta poltiica e non propagandistica o ideologica fatta da Donald Trump.

Ammesso che il suo prescelto venga approvato da senatori democratici ancora schiumanti per l’offesa fatta a Obama ignorando l’indicazione che lui aveva dato e che raggiunga quei 60 voti su 100 necessari per superare il boicottaggio del “filbustering” (i repubblicani ne hanno soltano 52) Neil Gorsuch dovrebbe essere l’inizio della fine per il progressismo sociale della Corte Suprema e il primo passo morbido verso il passato tradizionale.

Ma c’è sempre un rischio, che altri presidenti hanno corso e pagato. Nel momento in cui giurano la propria fedeltà alla Costituzione e indossano quella toga nera che svestiranno soltanto quando loro lo vogliono, i “Supremes”, come sono chiamati con scherzosa deferenza, spesso subiscono metamorfosi inaspettate. Il loro essere realmente, e completamente indipendenti, intoccabili, inamovibili, non ricattabili con imperativi di finanziamenti o rielezioni e responsabili solo davanti alla Storia li ha cambiati e li ha portati a prendere decisioni ben diverse da quelle che il loro sponsor alla Casa Bianca si attendeva. Una sorta di Pentecoste laica li tocca e li ispira. “Sarò un giudice indipendente” ha detto Neil Gorsuch accettando la “nomimation”

di Trump. E almeno la metà dell’America terrorizzata da Donald lo spera, perché anche il peggior presidente può sgovernare al massimo per otto anni. Un giudice della Corte Superma di 49 anni, può decidere il futuro di americani oggi neppure nati

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