I tweet di Trump infiammano la notte degli Oscar
GIANNI RIOTTA
Nel 1973, quando vinse l’Oscar per «Il Padrino», Marlon Brando mandò sul palco una giovane donna vestita da indiana-americana, Sacheen Piccola Piuma, e le chiese di leggere un discorso con il suo rifiuto del premio, in omaggio alle vittime degli scontri a Wounded Knee. Cinque anni dopo l’attrice Vanessa Redgrave, premiata con l’Oscar, attaccò il sionismo di «pochi estremisti», difese la causa palestinese, e venne fischiata, finché non toccò allo sceneggiatore Paddy Chayefsky sbottare: «Sono stufo di politica a Hollywood».
Da sempre la cerimonia in programma per domani usa il cinema come megafono di cause progressiste. Nel 1999 venne premiato con un Oscar alla carriera il regista Elia Kazan, che negli anni della caccia alle streghe anticomunista aveva denunciato amici e compagni di lavoro: alcune stelle si alzarono ad applaudire, da Warren Beatty a Meryl Streep, altre, Ed Harris e Nick Nolte, rimasero seduti a braccia conserte, i rancori della Guerra Fredda non sopiti. Richard Gere lodò il Dalai Lama, Michael Moore gridò «Vergognati!» al presidente Bush figlio, Halle Berry, prima attrice nera a vincere, ricordò le star censurate, Sean Penn i diritti dei gay.
E quest’anno? Con l’America polarizzata all’estremo dall’elezione di Donald Trump – i parlamentari democratici meditano di non stringere più la mano del presidente al Congresso – si annunciano scintille. Il presidente ama irridere via twitter la cerimonia, «Show così scarso che mi ricorda il sito della Riforma sanitaria di Obama», scrisse una volta. L’anno scorso, in corsa per le primarie, si astenne dall’intervenire, dopo avere deprecato la vittoria del regista messicano Iñárritu, «vengono e si prendono tutto l’oro», slogan anti emigrati.
Per il Donald Trump imprenditore con la smania della tv e dei social media, Hollywood era facile bersaglio: se la prese con Meryl Streep, «sopravvalutata!», per gli attacchi ricevuti dalla stella del cinema. Tutti si aspettano dunque che, magari all’alba, Trump fulmini via twitter l’opposizione culturale che gli fa la fronda.
A sorpresa, invece, il portavoce Sean Spicer annuncia che Trump sarà al ballo dei governatori e non seguirà la cerimonia. Andrà davvero così? Spicer, sotto pressione a sua volta per la durezza con cui investe i media – centinaia di laureati della sua università, Connecticut College, gli hanno chiesto in un appello di restare fedele al «codice d’onore» della scuola che richiede principi etici profondi https://goo.gl/d8ItWW -, anticipa le mosse di Trump, o il presidente se ne infischierà e replicherà iracondo alle polemiche?
È in corso a Washington una battaglia sorda, di cui i media riescono a dare notizia solo grazie alle soffiate della cerchia di Trump, tra l’ala che cerca di normalizzare la presidenza, il vicepresidente Pence, il segretario di Stato Tillerson, il ministro del Tesoro Mnuchin, e gli ex militari, da Mattis al Pentagono a McMasters consigliere per la sicurezza, e i duri ideologici, i consiglieri Bannon e Miller su tutti. Invano, finora, il povero capo di gabinetto Reince Priebus ha provato a mediare. Sì, Trump adesso legge i discorsi e non va solo a braccio, come ieri davanti ai lobbisti conservatori Cpac; il suo team ha imparato a fargli leggere articoli positivi o vedere programmi tv a suo favore per ridurne gli scatti in pubblico che lo danneggiano, soprattutto in politica estera.
Ma Hollywood è un’altra cosa. Già a lungo furioso con gli Emmy’s, i premi tv che ritiene sottovalutassero il suo reality show «The Apprentice», ora Trump sfotticchia l’ex governatore della California Schwarzenegger, che lo ha sostituito come anchor e non ha uguale audience. Seguitelo la notte di domenica su twitter: se si arrabbia hanno vinto i duri, se tace sarà una buona settimana per i pragmatici.
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