Russiagate, the Senator Who Makes President Trump Tremble with Fear

<--

Russiagate, il senatore che fa tremare il presidente Trump

Il repubblicano e trumpista Richard Burr guida la Commissione intelligence chiamata a indagare sul caso che scuote la Casa Bianca: dovrà ripercorrere le orme di Sam Ervin, chiamato a salvare la democrazia dalle bugie di Nixon

Quasi mezzo secolo dopo i giorni roventi dello scandalo Watergate che costrinse un presidente alle dimissioni, sulla poltrona di presidente della Commissione intelligence del Senato siede di nuovo, per caso, un figlio del profondo Sud, un senatore della North Carolina come il senatore Sam Ervin che da quello scranno condusse le udienze che demolirono gli alibi e le bugie di Nixon. Il suo nome, che pochi conoscevano fuori dal mondo della politica e dal suo stato, è Richard Burr – proprio come quell’attore che interpretava il famoso ruolo di Perry Mason – e impareremo a conoscerlo, perchè nelle sua mani c’è ora l’inchiesta sul “Russiagate”, sui possibili rapporti segreti, connivenze e complicità fra agenti di Putin e uomini di Trump e sui lavoro delle cybertalpe russe per scavare dentro le istituzioni americane e corroderle.

Burr, un robusto signore di 61 anni con un passato di giocatore di football per il suo college, non ha soltanto il poco invidiabile compito di frugare negli armadi di un presidente per il quale ha votato e per il quale ha lavorato come consigliere. Ha quello, ben più formidabile, di restituire credibiltà alla istituzioni della democrazia americana, scosse dall’elezione di un candidato con appena il 46% dei voti espressi, dallo sfacciato conflitto di interessi di un presidente con rapporti oscuri con banche e finanzieri in mezzo mondo e nel mondo di mezzo, fra banchieri di stato russo e casinò di Atlantic City. Ironia della storia, tocca di nuovo al figlio di quel Sud che tentò disperatamente di demolire l’Unione il compito di salvare il Nord e l’unità nazionale. E di far tremare il presidente che ha eletto sul suo trono vacillante.

Nel 1973, il suo lontando predecessore Ervin riuscì nell’impresa di strappare la verità sui reati commessi o permessi dalla Casa Bianca senza apparire partigiano e di far dimenticare che apparteneva al partito Democratico, opposto ai repubblicani di Nixon. Le verità che la sua commissione riuscì a svelare sbucciando una alla volta le mele marce dell’amminsitrazione Nixon erano troppo ovvie, chiare e convincenti per far pensare a un processo politico e a una caccia alle streghe di parte.

Burr ha il problema opposto: è un repubblicano, un trumpista dichiarato e se le inchieste, le deposizioni, il materiale che per settimane esaminerà dovessero scagionare il presidente, la sua sentenza di assoluzione politica dovrà apparire, come quella di condanna di Ervin 44 anni or sono, al di sopra di ogni sospetto. Così come una sentenza di “colpevolezza” dovrà convincere gli elettori di Trump che il senatore ha fatto soltanto il proprio lavoro correttamente nel nome e per conto della nazione.

In ballo non c’è il futuro di un presidente, che comunque, fatti i danni che riuscirà a fare o i miracoli che ha promesso, fra otto anni dovrà andarsene, o la sorte dei più sospetti fra i suoi portaborse e assistenti che potranno finire in carcere come altri in passato ed essere sostituiti.

In ballo c’è la credibilità di un sistema istituzionale che ha saputo resistere al massacro fratricida della Guerra Civile, a una Depressione economica che in Europa partorì i mostri del fascismo e del nazismo, alla insensate guerra in Vietnam, alle dimissioni in digrazia di un presidente e alla pugnalata di un attacco terroristico al cuore dei propri simboli nel 2001. Ma potrebbe non sopravvivere al sospetto che le proprie istituzioni democratiche, celebrate nel rito quadriennale delle elezioni, siano tarlate dagli agenti di una potenza straniera e poi coperte dalla complicità di chi dovrebbe bonificarle.

“Sono qui per fare il mio lavoro senza guardare dove e a chi le nostre conclusioni possano portare” ha detto il senatore repubblicano Burr, mentre il suo vice, il democratico Warner, gli teneva una mano sulla spalle per simboleggiare il loro affiatamento super partes. Se lo farà, se sarà credibile come lo fu il suo predecessore del profondo Sud amerivano nel 1973, la democrazia americana saprà sopravvivere anche a questa crisi.

About this publication