La vita nel circo Trump
L’ultima “uscita” del presidente, che ha richiesto una precisazione da parte della Casa Bianca, è stata quella su un possibile incontro con Kim Jong Un. Ma funzionari, portavoce e ministri dell’Amministrazione americana hanno da cento giorni un bel da fare per ‘arginare’ i danni delle imprevedibili dichiarazioni del presidente
AFFANNATI ALLE SPALLE del Grande Elefante, funzionari, portavoce e ministri dell’Amministrazione americana devono rincorrere ogni giorno il presidente per pulire la pista del Circo invasa dai suoi imprevedibili regali. Oggi, la ‘Bucket Brigade’, la squadra degli inservienti con il seccchio deve raccogliere quello che il Grande Elefante ha detto sul dittatore coreano Kim Jong Un e chiarire che il presidente non è affatto ‘pronto’, né sarebbe ‘onorato’ di incontrarlo faccia a faccia, dopo avere detto poche ore prima di ‘prepararci al peggio’ perché le circostanze non sono ancora mature. Questa volta, l’Elefante l’aveva fatta grossa.
È una fatica quotidiana e ingrata, quella degli inservienti col secchio sotto il tendone del ‘Circo Trump’. Una volta è il Muro, quella meravigliosa barriera che si sarebbe dovuta costruire pochi giorni dopo l’insediamento e che è già stata rimandata all’autunno, a quello che in italia si definisce ‘il ritorno dalle ferie’, cioè mai.
La Grande Riforma Fiscale è nata morta e tutte le sensazionali riduzioni di aliquote e di imposte giacciono sparpagliate a terra, bloccate da un Parlamento che ha fatto i conti e ha scoperto che questi conti non tornano affatto. Si dovrà ripulire la pista dai detriti della propaganda e ricominciare daccapo, senza barriti.
La Controriforma della Salute, garantita nei primio giorni, ha già scavallato il traguardo dei Cento e un nuovo disegno di legge, che modifica ma non azzera il sistema voluto da Obama, è adesso indicato come possibile per la prossima settimana. Mentre Trump continua a fare telefonate di entusiastiche congratulazioni ad alcuni fra i peggiori despoti della Terra, come il presidente filippino Rodrigo Duterte, invitandolo addirittura alla Casa Bianca. E subito parte in azione la Brigata del Secchio per spiegare che no, però, attezione, fermi tutti, queste telefonate a Erdogan o Duterte non significano che gli Usa siano improvvisamente diventati protettori dei tiranni.
A ogni ora del giorno e della notte, gli stressatissimi addetti alla pulizia devono spulciare interviste, dichiarazioni estemporanee, scariche di tweet che dicono e si contraddicono per eliminare gli scarti lasciati dal Grande Elefante Bianco nel suo incedere e qualcuno non ce la fa e si arrende come i già molti che hanno dato le dimissioni dalla cerchia più vicina a lui, dal Consiglio per la Sicrezza Nazionale.
Resistono bene soltanto la first lady, che si tiene alla larga dal tendone e ben si guarda dall’inseguire il marito con il secchio e la figlia Ivanka. Essendo compropritaria del Circo Trump non può certamente essere lei a lamentarsi dell’elefante.
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