The Rhetoric about Evil That Makes Crises Worse

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La retorica del male che aggrava le crisi

«Se ci attaccano, non c’è altra scelta che distruggere la Corea del Nord»: lo ha detto Donald Trump all’Onu. La Corea del Nord minaccia il mondo: «È un oltraggio che ci siano Paesi che sostengono Pyongyang» ha aggiunto. Il presidente Usa, ha poi definito «imbarazzante» l’accordo nucleare con l’Iran.

Ha ragione Donald Trump nel suo discorso alle Nazioni Unite: l’accordo sul nucleare tra gli Stati Uniti e l’Iran è imbarazzante. Ma non per quello che lui pensa. imbarazzante perché l’Iran con la Russia e Assad hanno sconfitto l’Isis e se non ci fossero stati i pasdaran iraniani e le milizie sciite il Califfato avrebbe messo Baghdad sotto assedio. Se avessimo aspettato gli americani quanti jihadisti sarebbero arrivati in Europa a farsi saltare con le cinture del kamikaze?

La verità è che la guerra in Siria è stata persa dagli alleati degli Usa: dalla Turchia, membro della Nato, dall’Arabia Saudita e dalle monarchie del Golfo. E oggi gli americani, che nel 2011 mandarono l’ambasciatore Ford a passeggiare tra i ribelli di Hama, spingono in ogni modo per attaccare l’Iran, a parole, ben sapendo che sul campo è assai più difficile.

Più parla e meno è convincente perché fa torto alla superpotenza americana che aspira pur sempre a rimanere il guardiano dell’ordine mondiale. Soprattutto ora che la minaccia della Corea del Nord appare concreta: una sequela di provocazioni che Trump ha raccolto e adesso non sa come uscirne. Se la Corea attacca, ha detto, l’unica scelta è distruggerla: è evidente che qualunque stato si senta sotto minaccia correrà a procurarsi un’atomica proprio per non farsi attaccare. E ha aggiunto che è un «oltraggio» che ci siano Paesi che sostengono il regime di Pyongyang.

Se il riferimento è alla Cina, che pure ha votato le sanzioni Onu, la mossa è sbagliata. Senza la Cina, ma anche senza la Russia, sarà complicato disinnescare una guerra di nervi che rischia di precipitare con conseguenze devastanti per la Corea del Sud e il Giappone.

Trump parla come Bush junior ma in altri tempi e in altri contesti. Mostra di volere ignorare, diversamente dal passato, il disastroso bilancio americano dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003. Per non parlare, per quel che ci riguarda, della Libia nel 2011.

Trump è andato all’Onu per impartire lezioni che verranno accolte come il fumo negli occhi dalla comunità internazionale non schierata con il campo occidentale. Bacchetta il Venezuela e Cuba: esempi di Paesi assai poco democratici ma dopo il record negativo degli interventi americani quale ricetta hanno gli Stati Uniti?

Eppure ci tocca sopportare Trump perché senza l’America non si va da nessuna parte. Il rischio è che potremmo seguirlo in qualche nuova avventura militare senza né capo né coda. Basta riflettere sulla guerra al terrorismo cominciata dopo l’11 settembre 2001. Sono passati 16 anni e non siamo per niente in un mondo più sicuro. Può non piacerci un autocrate come Putin, possiamo pure detestare la repubblica islamica iraniana, ma quali alternative sono state messe in campo degli americani? Gli Usa di Trump hanno costruito barriere amministrative e di cemento che rendono più sicura l’America non l’Europa.

Certo quando dall’Onu si passerà a discutere in sede Nato il discorso di Trump le cose cambieranno, diventeranno più sfumate per elaborare qualche nuova linea di condotta che non tocchi troppo al rialzo, come chiede da tempo Washington, i nostri bilanci della difesa. Anche noi europei facciamo i furbi. Ma questa è una pericolosa illusione: di fronte alle minacce coreane serviva un discorso per rendere più unita la comunità internazionale, non per dividerla ancora di più.

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