Il volto feroce verso la Cina e la chiamata alle armi all’Europa. La strategia dell’amministrazione Trump continua a dipanarsi tra minacce e aperture, ora agli avversari ora agli alleati, in un succedersi di accelerazioni e brusche correzioni di rotta che mirano a spostare gli equilibri del sistema multilaterale in chiave prevalentemente anti-cinese. Anche a costo di farlo saltare.
Ieri è arrivato lo schiaffo a Pechino, sotto molti aspetti il primo, visto che i dazi su pannelli solari e lavatrici penalizzano soprattutto gli alleati. Come pure, e in misura ancora più netta, potrebbero fare quelli su acciaio e alluminio, senza le esenzioni. La barriera tariffaria nei confronti del made in China, accompagnata da quella sugli investimenti cinesi negli Usa, fa salire di diversi livelli la tensione tra le prime due economie al mondo. Il containment di Obama, che pure aveva individuato nel confronto con la Cina la bussola della politica estera americana, è troppo soft per Trump e i suoi falchi. Gli Stati Uniti ora parlano apertamente di «aggressione economica» a proposito della strategia di Pechino, che ha al suo arco molte frecce per reagire e accelerare la spirale verso una guerra commerciale.
Al tempo stesso, la Casa Bianca invia un segnale distensivo all’Europa, ma non di resa: l’esenzione dai dazi su acciaio e alluminio è solo temporanea. I negoziati per renderla definitiva cominciano ora. È comunque una correzione di rotta rispetto ai toni delle ultime settimane.
Forse in preparazione della grande offensiva contro Pechino, l’amministrazione Trump sembra aver riscoperto l’utilità di coinvolgere l’Europa. Sarebbe stato più semplice farlo a dicembre dello scorso anno, quando erano state Bruxelles e Tokyo a proporre a Washington un’iniziativa congiunta in chiave anti-cinese, a margine del fallimentare vertice della Wto.
Come si è visto, non è impossibile ritrovare le fila del dialogo oggi, malgrado l’irritazione destata in Europa dalle spallate di Trump e il fondato sospetto che la Casa Bianca tornerà ad agitare l’arma dei dazi per ottenere quello che vuole. I punti di convergenza non mancano. Né gli Stati Uniti né l’Unione Europea riconoscono a Pechino lo status di economia di mercato, reclamato dalla Cina. Entrambe le sponde dell’Atlantico si sentono assediate dalla rincorsa tecnologica di Pechino e dal suo shopping di gioielli dell’industria e dell’innovazione. Se il Parlamento Usa si prepara a rafforzare i poteri dell’agenzia che vigila sugli investimenti esteri (anche quelli in uscita), Germania, Francia e Italia hanno promosso un’iniziativa comune che va nella stessa direzione.
In Europa, però, nessuno sembra volere una guerra commerciale. Né contro gli Stati Uniti, né contro la Cina. Ed è forse questo che non piace alla Casa Bianca.
Leave a Reply
You must be logged in to post a comment.