Kim Jong Un and Donald Trump: Why the Singapore Summit Will Take Place

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Kim jong-un e Donald Trump: perché il vertice di Singapore si farà

La Cina ha cambiato gli equilibri del negoziato, creando le condizioni per aggiungere i diritti umani all’agenda del vertice

Claudia Astarita

– 1 giugno 2018

Il vertice di Singapore tra Kim Jong-un e Donald Trump si farà”. A dire il vero in maniera ufficiale non lo ha ancora confermato nessuno, ma è sempre più probabile che dopo l’attacco verbale anti-statunitense sferrato da Pyongyang attraverso la stampa nazionale la settimana scorsa e l’immediata risposta di Washington con una lettera che constatava l’inopportunità di organizzare un vertice così delicato in un momento in cui la Corea del Nord confermava “enorme rabbia e aperta ostilità” nei confronti del proprio interlocutore, tutto sia tornato nei ranghi e i due paesi abbiano ricominciato a comunicare in maniera più pragmatica.

Non tutto è come prima

Interessante notare come questa improvvisa fiammata sia bastata a stravolgere radicalmente gli equilibri nella regione. Perché nonostante il canale di comunicazione tra Corea del Nord e Stati Uniti sia stato rimesso in piedi, nulla è più come prima.

Basta escludere la Cina

Trump aveva le sue ragioni quando ha ipotizzato che il voltafaccia nordcoreano potesse esssere in qualche modo legato a qualche promessa ricevuta da Pechino. Del resto, la stampa del regime si è scagliata contro Washington proprio subito dopo il ritorno di Kim dal suo secondo viaggio nella Repubblica popolare. Impossibile non immaginare che ci sia un collegamento tra le due cose. Questo significa una sola cosa: Cina e Corea del Nord hanno ritrovato il loro affiatamento, e Pechino non può più essere relegato nel ruolo di osservatore in questa crisi.

Il braccio di ferro Pechino-Washington

Se questo è vero, la crisi coreana si trasforma nell’ennesimo braccio di ferro tra Pechino e Washington. E c’è da sperare che questa pericolosissima sfida finisca senza un vincitore, ma con un compromesso che entrambe le parti accettino di sostenere.

Per il momento sembra che le cose stiano andando esattamente in questa direzione, visto che quando Trump ha deciso di fare la voce grossa annullando il meeting (pur senza chiudere del tutto all’ipotesi di un incontro, a conferma di come Trump non sia poi così stupido e impulsivo come tanti lo dipingono), forse anche con la spinta di Xi Jinping, Kim Jong-un è ritornto sui suoi passi. E così dalla stampa nazionale tutte le frasi anti-americane sono sparite, Kim ha incontrato di nuovo il Presidente del Sud Moon Jae-in, e il numero due di Pyongyang, Kim Yong Chol è volato a Washington per quelli che ha definito “colloqui sostanziali” con Mike Pompeo. Colloqui che, a detta di entrambi, stanno andando nella giusta direzione.

I retroscena della nuova distensione

Eppure, lo confermano i coreani del Sud, nulla è più come prima. L’esistenza di un “enorme differenza di punti di vista” tra Washington e Pyongyang sul significato della parola denuclearizzazione è evidente per tutti, e rappresenta il nodo centrale dei colloqui. L’ipotesi di farli saltare, infatti, era legata proprio all’incapacità di trovare un compromesso che potesse conciliare le esigenze di tutti.

Un negoziato lungo e difficile

I sudcoreani, che in questa partita continuano a svolgere il ruolo di mediatori, si stanno rendendo conto che, nonostante il riavvicinamento alla Cina, per Kim Jong-un l’incontro con Trump è più importante che mai. E non tanto perché si tratta del leader degli Stati Uniti, quanto perché ha capito che la sua sopravvivenza si gioca oggi sulla capacita di “rispettare le promesse fatte”. Si è speso in prima persona per la pace sulla Penisola e per lo sviluppo economico, e per quanto possa trasformare ogni verità a lui sfavorevole con l’ausilio della propaganda, non ottenere nulla per Kim sarebbe un disastro.

I nodi da sciogliere

Sia la Corea del Sud che la Cina hanno già detto che il loro dialogo con la Corea del Nord continuerà anche qualora il vertice con Trump divesse definitivamente saltare. Cosa che indirettamente mette sotto pressione gli Stati Uniti, che alzando troppo la voce rischiano di ritrovarsi definitavente esclusi dalla trattiva. Proprio come è successo alla Cina a gennaio.

Secondo Seul, per evitare problemi bisognerebbe dare la priorità al trattato di pace, che secondo la Corea del Sud dovrebbe essere avviato entro la fine del 2018 coinvolgendo sia la Cina che gli Stati Uniti. Questo riporterebbe Xi Jinping e Donald Trump allo stesso tavolo. Scenario che, è bene sottolinearlo, rappresenterebbe un successo enorme per il primo mettendo in ombra quello del secondo.

Denuclearizzazione e diritti umani

Una volta avviato il negoziato di pace ci si potrebbe dedicare alla denuclearizzazione e ai diritti umani. Magari evitando di usare questi due termini. Quindi dopo aver svincolato trattao di pace e aiuti economici dalla denuclearizzazione, si potrebbe cercare di dialogare davvero per ottenere garanzie accettabili sul piano militare. Quanto ai diritti umani, di cui oggi non si è mai parlato per evitare di indispettire Kim, bisogna affrontarli promuovendo “iniziative volte a migliorare le condizioni di vita della popolazione”.

Parliamoci chiaro: Kim ha le sue ragioni, ma non può vincere sempre. Dando la priorità a trattato di pace e aiuti economici si potrebbero creare le condizioni per dialogare contemporaneamente su denuclearizzazione e diritti umani. Alla sua capacità nucleare Kim Jong-un tiene molto, quindi magari assecondandolo un po’ su un tema relativamente al quale non sarà mai disposto a cedere si potrebbe ottenere di più sui fronte dei diritti. Forse varrebbe la pena provare.

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