«Non ho nulla contro le donne ma…» Il sessismo mascherato in politica
Petulante, irritante, distante, antipatica. Sono alcuni degli aggettivi usati contro Hillary Clinton durante le presidenziali del 2016. E ora la storia si ripete con le candidate alla nomination democratica.
A parole tutti sono a favore di una donna al comando. «Il problema non è il sesso – ti assicurano – ma che sia capace». Eppure alla prova dei fatti le candidate devono affrontare critiche, insulti, nomignoli dispregiativi. Una corsa ad ostacoli ben peggiore di quella prevista per gli uomini e sempre condita dal leitmotiv: «Non ho niente contro le donne ma questa qui non va bene».
L’esempio di Hillary
Quanto odio ha attirato Hillary Clinton quando ha corso per la nomination contro Barack Obama nel 2008 e poi alle presidenziali contro Donald Trump nel 2016? Di lei si è detto di tutto: petulante, irritante, distante, antipatica, troppo sicura di sé, femminista ma anche sottomessa agli uomini perché supportò il marito nello scandalo Lewinsky. Insomma tutte ma non lei. E non è un caso che oggi, come ci fa notare il New York Times, quegli stessi aggettivi vengano usati per criticare le sei candidate alla nomination democratica per le presidenziali del 2020. Perché alla fine la verità, negli Stati Uniti come altrove, è che molti elettori e elettrici sono restii a votare per una donna ma non sono disposti ad ammetterlo. Basta dare un’occhiata all’ultima classifica della Inter-Parliamentary Union sulla quota di deputate e senatrici presenti nei Parlamenti per capirlo: gli Usa sono al 75simo posto (settantacinquesimo su 191 Paesi e nel 2016 erano addirittura al 97simo). I Paesi più virtuosi sono Ruanda, Cuba, Bolivia, Messico. Le prime nazioni occidentali a comparire sono quelle del Nord Europa: Svezia (settima), Finlandia (11sima), Norvegia (13sima) seguite a ruota da Francia (14sima) e Spagna (16sima). L’Italia è al 28simo posto davanti alla Gran Bretagna che è dieci posizioni sotto. Numeri significativi che fanno trasparire un evidente pregiudizio contro le donne. D’altra parte negli Stati Uniti il voto venne concesso ai neri nel 1870, alle donne nel 1920: mezzo secolo dopo. E in ritardo di 14 anni sulla Finlandia, 18 sull’Australia, 27 sulla Nuova Zelanda.
Il ruolo dei media
Questa volta però sarà difficile mascherarsi dietro il solito «non ho niente contro una donna presidente ma non questa qui» perché le candidate alla nomination democratica sono ben sei e non è possibile che tutte non funzionino. Il pregiudizio, quindi, verrà fuori più facilmente. Come è successo ad Amy Klobuchar, la senatrice del Minnesota, che, non appena si è lanciata nella corsa, è stata dipinta dai giornali come una dirigente dal carattere difficile. Con un uomo si sarebbe fatto altrettanto?
Autorevole o arrogante?
Due pesi e due misure. Quando un uomo afferma qualcosa con decisione è autorevole quando lo fa una donna è arrogante. Un volto serio in un candidato significa affidabilità, in una candidata veicola distanza, poca simpatia. È rimasta alla storia la risposta di Hillary Clinton a chi, nel 2015, la accusava di «urlare» contro i morti per arma da fuoco. «Prima di tutto io non sto urlando — ha detto l’ex segretaria di Stato —. È solo che quando le donne parlano alcune persone pensano che stiano urlando».
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