Corporate America: Time To Lay Off the Debt after Years of Greed

Published in Il Sole 24 Ore
(Italy) on 28 February 2019
by Marco Valsania (link to originallink to original)
Translated from by Malcolm Gilmour. Edited by Laurence Bouvard.
2019 may well be the year that corporate America decides to lance the boil of its excessive debt, which many now believe is a possible trigger for an imminent financial crisis. That conclusion seems a logical one, judging by a series of measures taken by large firms. Viewed together, they could signal that the time has come to slim down bloated company finances. Three companies have signed up for this Weight Watchers-style diet in the last three days, freeing up resources to pay for the cure. Kraft Heinz stood out by cutting its dividend, General Electric sold off its valuable biotech arm, and AT&T, with its $85 billion Time Warner merger, seemingly having overcome antitrust concerns in court, pledged to spend the rest of the year consolidating its debt.

The companies’ directors, along with the analysts and investors who follow the firms, are united in recognizing it is necessary to impose this belt-tightening. AT&T has an enormous debt load of $171 billion which, if not addressed, threatens its competitiveness in the increasingly dynamic media and telecommunications sector despite its merger with Time Warner. Kraft Heinz’s debt burden may look smaller — at around $31 billion — but is still a hefty sum, considering the profitability issues that have been exposed by multibillion-dollar devaluations and quarterly losses.

Slashing its dividend by 36 percent on top of a number of sell-offs should free up more than $1.1 billion in yearly cash flow which the food giant can use to get back in shape. Even more dramatic was the $21 billion divestment made by GE, the former “GDP company,” which is seeking to become more agile and reinvent itself. New Chief Executive Larry Culp called it a “pivotal milestone” toward its primary objective of repaying the debt.

If these examples mark the beginning of a trend, it is one that could be welcomed by investors spooked by rising uncertainty in the economy and the knock-on effect on companies’ performance. Those uncertainties were laid out once again this week by Federal Reserve Chairman Jerome Powell during his biannual congressional testimony on monetary policy. Stock market analysts fear that an earnings recession may actually be just around the corner and could strike in the next two quarters, making life even more complicated for companies.

Debt now clearly has a stranglehold on numerous companies which, during the long recovery from the crisis, gorged on bond issues in the climate of ultra-low interest rates and central bank quantitative easing. According to Bloomberg estimates, investment grade U.S. company debt in circulation has hit $5.2 billion, an increase of $300 billion over the last 10 years (the post-crisis period). In reality, however, this debt has been rapidly downgraded over the years as an appetite for risk has returned, potentially making firms more vulnerable. Today, almost half of blue chip corporate bonds — that is, those of the highest quality — are only just above junk levels, bonds that are high yield and high risk. In the 90s, a significantly lower total of 27 percent of corporate bonds were in the same category.

2019 could therefore be a turning point for companies which have suddenly turned more cautious and are seeking to lighten debts that have become more threatening. The alternative — that their debt could be viewed as increasingly dangerous by financial markets — could mean that corporate America’s stocks, and not only its bonds, will come up against the contagion of a growing skepticism.


Corporate America, arriva l'ora della “dieta” sul debito dopo anni di ingordigia

New York - La Corporate America potrebbe decidere che il 2019 è l'anno buono per cercare una cura al “bubbone” del suo debito eccessivo, ritenuto ormai da molti possibile miccia d'una prossima crisi economico-finanziaria. Almeno così sembra a giudicare da una serie di operazioni lanciate da grandi marchi che, prese assieme, potrebbero segnalare che è arrivata l'ora di una cura dimagrante per appesantite finanze aziendali. Negli ultimi giorni tre gruppi hanno aderito a questa dieta da finanza “weight watchers”, reperendo risorse al fine di pagare la terapia. Kraft Heinz si è distinta con il taglio del dividendo; General Electric con la cessione di un prezioso braccio biotech; e AT&T con la promessa, adesso che la fusione con Time Warner da 85 miliardi di dollari pare aver superato in tribunale le obiezioni dell'antitrust, di utilizzare il resto dell'anno per procedere con risanamenti del debito.

L'urgenza della dieta è stata riconosciuta dagli stessi dirigenti delle aziende protagoniste e dagli analisti e investitori che le seguono. AT&T ha un gigantesco carico di ben 171 miliardi di indebitamento, che minaccia, se non verrà disinnescato con adeguati impegni, di rendere difficile essere oggi competitiva come vorrebbe nonostante l'integrazione di Time Warner nel settore sempre più dinamico di media e telecomunicazioni. Kraft Heinz ha un fardello solo all'apparenza minore, di circa 31 miliardi: si tratta ugualmente di una cifra-zavorra considerando le sue già ardue condizioni di redditività, portate alla luce da svalutazioni multimiliardarie e perdite trimestrali.

La sforbiciata del 36% nelle cedole e alcune cessioni dovrebbero liberare oltre 1,1 miliardi di dollari di cash flow all'anno per il leader alimentare da usare a scopo dimagrante. Ancora più drammatica è stata la dismissione da 21 miliardi realizzata dall'ex azienda Pil - la Ge - oggi in cerca di agilità e riscatto. Tanto da essere definita un “passo cruciale” dal nuovo chief executive Larry Culp proprio per perseguire in primo luogo il traguardo di ripagare l'indebitamento.

Se questi esempi faranno tendenza, il cambio di marcia delle imprese potrebbe essere il benvenuto tra investitori resi nervosi dalle incognite in aumento sull'economia - e di conseguenza sulle performance aziendali - riaffermate questa settimana dal chairman della Federal Reserve Jerome Powell durante la sua testimonianza semestrale di politica monetaria al Congresso. Gli analisti di Borsa temono che sia addirittura in agguato, nei prossimi due trimestri, una recessione dei profitti che potrebbe complicare la vita delle società.

Il nodo del debito si è sicuramente ormai stretto alla gola di numerose imprese che avevano fatto man bassa di emissioni di bond durante la lunga ripresa e in un clima di tassi di interesse ultra-bassi e di quantitative easing istigato della Banca centrale. Stando a stime di Bloomberg, il debito aziendale targato Usa in circolazione e considerato di maggior qualità (investment grade) ha raggiunto i 5.200 miliardi, in aumento di tremila miliardi negli ultimi dieci anni, cioè nel periodo post-crisi. Ma, e questo è uno dei problemi che aggrava l'urgenza di interventi, la qualità di quel debito è in realtà scesa rapidamente negli anni, di pari passo con il ritorno della propensione al rischio, e potrebbe rendere piu' vulnerabili le aziende. Oggi quasi metà dei corporate bond delle società considerate “blue chips”, vale a dire di più nobile lignaggio, si trova a malapena sopra la linea di demarcazione con i junk bonds, le obbligazioni ad alto rendimento e alto rischio meglio note con il soprannome di titoli spazzatura. Nella medesima “fascia” negli anni Novanta di trovava un ben più limitato 27% dei titoli.

Il 2019 potrebbe così diventare un anno di svolta per aziende improvvisamente scopertesi più caute e a caccia di alleggerimenti da un debito diventato minaccioso. Che potrebbe altrimenti essere percepito sempre più come un pericolo anche dalle piazze finanziarie, dove le azioni, e non solo le obbligazioni, della Corporate America potrebbero scontrarsi con il contagio di un crescente scetticismo.
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