Google e Facebook: sono troppo grandi?
Tutto ruota attorno a un concetto, quello del prezzo che noi consumatori paghiamo ai giganti del web per poter utilizzare i loro servizi. Non si tratta di un prezzo misurabile in denaro speso, si paga in dati e attenzione. Attraverso informazioni su di noi e tempo che dedichiamo a Facebook (con le sue controllate WhatsApp e Instagram), Google (che significa anche YouTube), Amazon e via dicendo, paghiamo la loro solo apparente gratuità. Questa immaterialità del prezzo, ha comportato che le autorità antitrust mondiali abbiano fatto fatica a prendere iniziative contro i monopoli che andavano formandosi.
Nuove (vecchie) strade
Ma si sta facendo strada, come notava il «Financial Times» nei giorni scorsi, un ritorno alle origini delle politiche antitrust. Vale a dire quelle che non si basano solo sul prezzo, ma anche su oggettivi freni alla concorrenza e competizione. Cosa che rischia di far pagare un conto molto salato ai titani del web (definizione dell’Economist). Un conto che può arrivare fino al break up, allo spezzare in più parti quelle società che sono arrivate a godere di un indubbio monopolio. A parlarne esplicitamente è stata Elizabeth Warren, la democratica americana che ha proposto la sua candidatura alle primarie per la corsa presidenziale. Le speranze della Warren non sono elevatissime e, si dirà, fa parte di una minoranza. Ma è indubbio che per la prima volta dal secolo scorso, il Congresso americano ha avviato un’indagine sul settore. E c’è chi ricorda che accadde lo stesso con un’inchiesta antitrust su Microsoft negli anni Novanta. Forse senza quell’inchiesta non sarebbero nati Google e Facebook. Ma per le odierne società monopoliste, il sentiero potrebbe iniziare a essere molto stretto. E per il mercato e i consumatori potrebbe non essere una cattiva notizia.
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