La catastrofe liberista della democrazia americana
Stati Uniti. L’epidemia sta devastando un paese in cui 30 milioni di cittadini non accedono a cure mediche
L’immagine è spiazzante perfino fra le surreali panoramiche che sta producendo la pandemia, inquadrature di un mondo svuotato e città spettrali. Nel parcheggio di un vecchio centro congressi dismesso nella periferia di Las Vegas è stata tracciata una griglia rettangolare.
Sembrano linee bianche per posti macchina ma sono state tracciate sull’asfalto per parcheggiare esseri umani.
Ogni loculo dipinto per delimitare lo spazio adibito ad un homeless. Molti degli spazi sullo scacchiere sotto al cielo plumbeo sono effettivamente occupati da figure supine o rannicchiate contro il freddo, circondate di misere cose sparpagliate. Gli uomini sono fra quelli, circa 500, provenienti da un ricovero della catholic charities, sgomberato dopo che uno degli assistiti era risultato positivo al contagio.
La foto che ha fatto il giro del mondo è diventata una simbolica rappresentazione della collisione frontale della pandemia con la democrazia più ricca e più diseguale del mondo industrializzato.
Una nazione con incredibili livelli di povertà pur all’apice di quello che era stato, fino ad un mese fa uno dei boom economici più duraturi della sua moderna storia, nelle cui città all’ombra delle gru e dei cantieri dormono all’addiaccio più di mezzo milione di persone (58.6000 stando all’ultimo censimento).
Dopo decenni di intenzionale erosione delle reti sociali, spesso basta una bolletta maggiorata o, caso tipico, un conto sanitario imprevisto, per subire uno sfratto dopo il quale si apre la voragine della strada – capolinea di una discesa repentina ai margini della società.
La piaga degli homeless rimane uno degli aspetti più vergognosi di una società dirottata sull’arricchimento di una oligarchia che detiene ora anche il potere esecutivo. Ma quella che ha portato alla foto di Las Vegas non è l’unica «debolezza strutturale» dell’America liberista su cui il virus ha puntato un riflettore.
Oltre alle problematiche gestionali connesse al federalismo (almeno quando alla Casa bianca c’è un demagogo nazional populista e la sua inetta dinastia di impresentabili galoppini), l’epidemia globale sta investendo un paese in cui 30 milioni di cittadini non hanno ricorso a cure mediche.
In cui non sussiste una sanità pubblica ne è acquisito il concetto di salute come diritto di cittadinanza. Accettato è invece che gli ospedali siano aziende sanitarie che rispondono ad esigenze di bilancio, e in altre circostanze l’afflusso di pazienti paganti sono un dato positivo sul loro bilancio.
Purtroppo, come lamentano apertamente molti direttori sanitari, le epidemie con le loro massime esigenze e stress su attrezzature e personale, non si conformano al business model. Non solo ma danneggiano il «core business» di cure, operazioni e visite fatturabili. La controparte di questo meccanismo fatale sono le assicurazioni private – un ipertrofico colosso industriale da 900 miliardi di dollari il cui fatturato dipende dalle malattie dei cittadini, e sostenuto da un imponente lobby che a Washington assicura il favore politico.
Gli assicuratori hanno già annunciato che, al di la di possibili rateizzazioni, non saranno previsti sconti sulle cure – ogni malato dovrà pagare premi e franchigie.
La morte del diciannovenne di Lancaster in California che sembrava in un primo momento avvenuta dopo le dimissioni per mancanza di assicurazione, sembra essere avvenuta in realtà nell’ambulanza che lo stava trasportando.
Ma ogni americano sa che è questione di tempo perché casi simili si verifichino in un paese dove nei pronto soccorso la prima visita al capezzale, dopo il rilevamento della febbre, è spesso quella del financial specialist che misura i conti in banca dell’assistito.
La sanità privatizzata era insomma già un emergenza horror prima della pandemia (l’aspettativa media di vita per chi vive instrada per dire è di 45 anni). Al dramma sanitario è destinata a sommarsi ora una catastrofe sociale.
Si è solo agli inizi di un fenomeno che metterà alla prova il «darwinismo sociale» che applica alla salute una perversa meritocrazia.
Non è inusuale sentire espressa da commentatori di Fox News o da parlamentari repubblicani, l’idea che un eccessiva assistenza sociale e sanitaria induca i soggetti deboli (di carattere) ad approfittarne.
È l’impianto ideologico si cui si innestano i ragionamenti suprematisti ed eugenetici, ora apertamente articolati, su immunità di gregge e sacrificabilità di deboli ed anziani.
Come previsto la pandemia sta per sovrapporsi a tutto il cinismo di un sistema virato verso una insostenibile disuguaglianza, che ha trovato nel trumpismo l’ultimo capitolo di una guerra ai poveri i cui danni stanno per diventare evidenti.
Un sistema che come comparto privato deve ottimizzare i profitti e minimizzare le spese, produrrà prevedibilmente effetti come quello rilevato dal Los Angeles Times: il tasso di contagio risulta di gran lunga più alto nei quartieri benestanti che nei ghetti neri ed ispanici. Perché a West Hollywood o Beverly Hills pazienti facoltosi possono acquistare tamponi inesistenti nelle cliniche pubbliche.
In molte città Americane gli homeless sono rimasti gli unici frequentatori delle strade deserte, ma la pandemia ha fatto molti altri orfani: ambulanti, giornalieri, manovalanza microeconomica e tutto l’arcipelago di cittadini-consumatori marginali ed emarginati che sono il necessario complemento al boom digitale finanziario del capitale liberista.
Se da un lato il Covid 19 è destinato rivelare oltre ogni dubbio le iniquità strutturali di un sistema predicato su crescita e profitto a scapito degli inermi, i briefing orwelliani di pubblica autocelebrazione alla Casa bianca dimostrano che nulla verrà risparmiato per strumentalizzare questa crisi e volgere a proprio favore il disastro.
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