When Trump Supporters and Democrats Agree: The Bipartisan Case against Big Tech

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Stati uniti. All’audizione di mercoledì scorso su Zoom la politica accerchia Cook, Pichai, Zuckenberg e Bezos. Come successo poche altre volte nella storia: dal monopolio degli studios al processo a Microsoft. Perché oggi Silicon Valley non è più una solare promessa

Dall’abbigliamento (semplici abbinamenti di giacche e cravatte scure, che qualcuno ha definito «da bravo papà»), ai set (apprezzato il legno dorato dell’ufficio di Bezos, giudicata inquietante l’anonima parate di perlinato bianco su cui si stagliava in grandangolo molto deformante la faccia di Zuckenberg), alle gaffes, al tasso di fumosità delle risposte, alla performance dei deputati che facevano le domande…l’apparizione dei tycoon di Apple, Google, Facebook e Amazon di fronte alla commissione antitrust della Camera, mercoledì, è stata recensita sotto molti punti di vista.

E con esiti diversi. È unanime però l’impressione che – per Tim Cook, Sundai Pichai, Mark Zuckenberg, Jeff Bezos e le loro rispettive compagnie – questo sia solo l’inizio.

Isolati in primi piani individuali – vista l’impossibilità di apparire di persona e condividere uno spazio comune – i giganti di Silicon Valley nell’implacabilità del formato Zoom non hanno trovato un alleato. Anzi, l’effetto era un po’ quello del cervo inchiodato dalla luce dei fari di un’automobile.

L’abituale elusività delle loro risposte era più evidente del solito. Da un’aula di Capitol Hill, debitamente socially distanced e con maschere a portata di mano, i deputati democratici e repubblicani sembravano aver trovato nella battaglia contro Silicon Valley una causa inaspettatamente bipartisan, capace di unire libertari di destra, progressisti democratici e trumpisti che detestano Jeff Bezos per via del Washington Post e sostengono che – dietro alle quinte – i social media lavorano contro la causa dei conservatori.

Il fatto che l’udienza fosse trasmessa in TV un vantaggio in più per i politici, data l’opportunità di sfoggiare un tocco di populismo da film di Frank Capra, apparendo “duri” contro quattro degli uomini più ricchi del mondo, dotati di un potere enorme sulle vite degli americani e le cui aziende invece di essere state rovinate dalla calamità del Covid ne hanno tratto enormi profitti.

«In quanto guardiani dei cancelli dell’economia digitale, queste compagnie hanno il potere di scegliere vincitori e perdenti, di spennare le piccole aziende arricchendo sé stessi, mentre soffocano la competizione. I nostri fondatori non hanno accettato di inchinarsi davanti a un re. E noi non dobbiamo inchinarci di fronte agli imperatori dell’economia online», è stata una delle uscite più “ad effetto” del democratico del Rhode Island David Cicilline (tra le star dell’udienza) e presidente della commissione.

La relativa dimostrazione di unità tra due partiti in guerra su praticamente tutto il resto ha evocato momenti simili nella storia recente dell’antitrust – il processo contro la Microsoft alla fine degli anni novanta, i provvedimenti antitrust contro la At&T nel 1984 e prima ancora quelli contro il monopolio degli studios a Hollywood e quello dell’industria automobilistica; contro le acciaierie US Steel e la compagnia petrolifera Standard Oil.

Forse più di tutti, l’udienza dell’altro giorno ricordava l’apparizione nel 1994 dei top executive delle compagnie del tabacco, disperatamente impegnati nel difendere l’idea che le sigarette non davano assuefazione.

La scalata al superpotere di Silicon Valley – iniziata con Jimmy Carter, fiorita nella deregulation reaganiana e purtroppo cementata dalla coppia Clinton/Gore, baby boomers che vedevano se stessi nei giovani tycoon del digitale e diedero loro via libera totale per il controllo di internet – è sempre stata associata all’immagine più energica, creativa e visionaria del progresso industriale americano.

Da qualche anno ormai, quell’immagine di promessa solare, e la sua aura di intoccabilità, è stata scalfita: erosione della privacy, pratiche antisindacali e anti competitive, inchieste su possibile evasione fiscale, dal devastante ruolo di Facebook nelle elezioni del 2016 e, più in generale, nella circolazione dell’informazione online…Big tech (come un tempo Big tobacco) oggi ha assunto una connotazione più sinistra.

Ci si aspetta che il dipartimento di giustizia entro breve sporgerà denunce relative al controllo della pubblicità online contro Google, mentre la Federal Trade Commission si appresta a interrogare Zuckerberg sul monopolio dei social media. Era chiaro dall’audizione di mercoledì scorso che il Congresso non mollerà l’osso – prima e dopo le elezioni di novembre.

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