A New York dopo il Covid
tornano le «code felici»
di Massimo Gaggi
In fila senza lamentarsi per vedere una mostra o uno spettacolo teatrale, ma anche per cenare in una trattoria trendy. C’è chi la chiama «cultura dell’attesa»
In fila nel freddo di gennaio per vedere la mostra di Edward Hopper al Whitney Museum di New York. In fila all’alba per contendersi con altri cinquanta golosi i croissant «esclusivi» sfornati da una pasticceria di Brooklyn e celebrati su TikTok. In fila per conquistare i biglietti di uno spettacolo teatrale o di un concerto che non sei riuscito ad acquistare via web (svaniti appena messi online). In fila per pranzare in una trattoria che non ha piatti memorabili ma è diventata trendy e non accetta prenotazioni. Dagli aeroporti ai parchi di Disneyworld gli americani hanno una tolleranza per le code sconosciuta dalle nostre parti. Ma a New York la fila subisce una trasfigurazione: da inconveniente inevitabile a elemento costituente del paesaggio urbano, prova fisica dell’appetibilità di ciò che si vuole acquistare, addirittura luogo di socializzazione.
Abitudini sconvolte, insieme a tante altre, dalla pandemia: città semideserta con le code che nel 2020 erano state quelle cupe dei Covid test e nel 2021 quelle delle vaccinazioni. Ora torna la «coda felice» celebrata anche dal New York Times.
Un fenomeno, chiamato «cultura dell’attesa», studiato a lungo da sociologi e anche da economisti come Tyler Cowen che già 8 anni fa costruì una sua teoria. Partì dal timore che l’America stesse riproducendo, mezzo secolo dopo, le code alle quali erano costretti i cittadini dell’Unione Sovietica «per ottenere beni scarsi come le uova o un cappotto». Ma poi concluse che, nel capitalismo avanzato, il fenomeno ha tutt’altra natura: nell’era degli iPhone anche gli insofferenti si allineano più volentieri mentre la fila capitalista non è figlia di scarsità reale ma di scarsità procurata FROM HERE (creando nicchie di consumo voluttuario o tenendo la gente in fila fuori da ristoranti o negozi mezzi vuoti solo per conquistare l’apparenza di locale acclamato) e non è necessariamente egualitaria (spesso chi ha la membership o la tessera di qualche club esclusivo evita la coda).
Certo, le uova scarseggiano anche nell’America di oggi (prezzi raddoppiati per l’influenza che ha colpito decine di milioni di galline) ma i benestanti del West Side in fila per comprare quelle della Knoll Krest Farm o le patate bio da 11 dollari al chilo e i fagiolini da due dollari e mezzo, ma all’etto, non al chilo, non somigliano certo a una babushka dell’Urss.
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