Europe, It Is Time To Decide

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La guerra in Ucraina e la riforma dell’economia sono due facce di un’unica medaglia. E bisogna fare i conti con gli Usa

In ogni crisi c’è un’opportunità. Che si tratti di guerre o di dazi. Nei grandi passaggi della Storia, servono però grandi scelte politiche. Sull’Ucraina e con le barriere al commercio, Trump sottopone l’Europa a «un elettroshock», come dice Macron, e la mette sulla difensiva. Ma non dev’essere per forza così: se i Paesi della Ue abbandonano la visione istituzionalista concava che li porta a focalizzarsi sulle dispute interne, se riusciranno ad avere chiaro qual è il loro ruolo nel mondo, le sfide epocali alle quali siamo di fronte potranno metterli su una strada assertiva e non supina. Più delle infinite discussioni sul voto all’unanimità nel Consiglio europeo, servono le decisioni politiche. Non facile ma nemmeno impossibile.

Una cosa è certa: il destino dell’Europa dipende da come saprà rispondere agli sviluppi del conflitto in Ucraina. Le telefonate di Trump con Putin e poi con Zelensky hanno creato enorme agitazione. Non è chiaro se il presidente americano abbia un obiettivo e, se sì, quale sia. Per ora, grandi concessioni a Putin e niente in cambio. Gli Stati Uniti non intendono ammettere Kiev nella Nato e non schiereranno loro truppe nel Paese per garantire l’eventuale tregua. Il nuovo segretario americano alla Difesa Pete Hegseth lo ha detto ad alta voce: lo si era capito già al tempo della Casa Bianca di Joe Biden ma ora è pressoché ufficiale. Probabilmente, Trump contribuirà anche poco alla ricostruzione dell’Ucraina. Il vicepresidente JD Vance, ieri a Monaco, ha reso esplicita la distanza che esiste, quasi a 360 gradi, tra le due sponde dell’Atlantico. L’Europa è in confusione ma deve sperare per il meglio e prepararsi al peggio.

I Paesi della Ue non hanno le capacità di sostituire gli Stati Uniti nel sostegno a Kiev se questa decidesse di non accettare una tregua. Non è solo questione di volontà politica, che pure non è scontata, ma di impossibilità, dato lo stato degli eserciti europei e la limitatezza produttiva dell’industria militare del continente. I Paesi europei, però, possono impegnarsi a mandare loro truppe in Ucraina, una volta cessati i combattimenti, come deterrenza, pronte a difendere gli ucraini con quel che serve. E possono smobilizzare e passare a Kiev buona parte dei 300 miliardi di riserve russe che hanno sequestrato poco dopo l’invasione.

Non tutte le capitali della Ue sarebbero disposte a farlo. Il prossimo 23 febbraio si terranno le elezioni in Germania, Paese chiave, e il probabile prossimo cancelliere, Friedrich Merz, ha fatto capire di ritenere decisiva una non sconfitta dell’Ucraina e una non vittoria della Russia. Il presidente francese Emmanuel Macron, per quanto in difficoltà politiche, dice lo stesso: l’Europa «non ha alternative», questo «è il momento di accelerare ed eseguire». Polonia, le tre Repubbliche baltiche, la Svezia, la Finlandia, la Danimarca, l’Olanda sentono la stessa urgenza. Come Londra e Oslo. L’Italia dovrà decidere. Se l’Europa riuscirà a proteggere l’Ucraina dalla disintegrazione e ad alzare un muro nei confronti della Russia di Putin, non ne beneficerà solo la sua sicurezza. Il suo ruolo nel mondo sarà del tutto diverso da quello odierno di gigante commerciale ma nano politico. Se non sarà in grado di farlo, il suo destino sarà un’ondata di recriminazioni e di divisioni interne, forse letali.

Con la Ue, Trump apre anche il fronte dei dazi. Per molte imprese potrebbero essere dolorosi. E una relazione transatlantica fondata sul mercantilismo, per il quale una sponda vince quel che l’altra perde, impoverirebbe tutti. La Commissione Ue sembra volere puntare a una trattativa con la Casa Bianca, magari mettendo contromisure sul tavolo dei colloqui. E cercherà di tenere unita l’Unione. La reazione vera, però, non può che essere quella che già conoscevamo prima dell’elezione di Trump, messa per iscritto nei rapporti alla Ue di Enrico Letta, di Mario Draghi e dell’ex presidente finlandese Sauli Niinistö. Ancora più dei dazi americani, l’economia del continente soffre e soffrirà della situazione che dura da decenni: troppa burocrazia nazionale ed europea, limitata possibilità di crescita delle aziende, innovazione che non trova capitali, livello della tassazione esagerato, piani ambiziosi che si stanno sgonfiando come il Green Deal e anche un certo protezionismo nei commerci, sia a difesa di alcune agricolture sia presentato come lotta al cambiamento climatico. Imprenditori e top manager nei giorni scorsi hanno detto che, negli Stati Uniti, Trump sta liberando gli animal spirits mentre in Europa li si opprime. Quanto gli spiriti animali correranno grazie a Trump lo vedremo, di sicuro in Europa sono frenati. Se i dazi sono un problema, la sclerosi europea è una tragedia.

Si sa da tempo della necessità di ridurre oneri regolatori alle imprese, di completare il mercato comune dei servizi, di creare mercati unici dei capitali e dell’energia, di ridurre il peso fiscale a chi fa business e crea lavoro, di aprire ulteriormente i commerci ad altre parti del mondo. Ora c’è l’opportunità, dettata dalla necessità, di farlo. E di essere il continente aperto mentre gli altri si chiudono.

Ucraina e riforma dell’economia sono le due parti della stessa sfida. Di fatto, Trump ce lo fa sapere ogni giorno. Più che litigarci, serve cercare di essere all’altezza del momento. Se si vuole una vendetta, la migliore è essere felici. Cioè fare quel che si deve e che si può.

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