L’Europa dovrebbe evitare reazioni protezioniste perché queste amplierebbero le tensioni commerciali, anziché alleviarle. E soprattutto, mantenere un sistema commerciale aperto e basato su regole sarà fondamentale per sostenere la crescita a lungo termine
Le esportazioni europee verso gli Stati Uniti, che sembrano essere una delle ossessioni di Trump, si possono ridurre in vari modi. Imporre dazi sulle importazioni di beni europei come vuol fare il presidente americano, è certamente un modo, ma il più stupido e uno dei meno efficaci, anche per gli Usa. Un modo più intelligente sarebbe aumentare la domanda interna in Europa (più consumi, più investimenti o anche più spesa pubblica), senza introdurre nuovi dazi.
Anche un euro più forte rispetto al dollaro ridurrebbe le esportazioni europee negli Usa rendendo i nostri beni più costosi per i consumatori statunitensi. Non c’è quindi solo lo strumento dei dazi. I dazi non sono una buona idea perché aprirebbero una guerra commerciale fatta di interventi su singoli settori o addirittura su singoli beni: un dazio sul prosecco italiano seguito da uno, in direzione opposta, sul bourbon del Kentucky. Alla fine tutti ci perdono e spesso proprio il Paese che ha avviato la guerra commerciale.
Ma assumiamo, come pare stia accadendo, che Trump abbia deciso di aprire una guerra commerciale, non solo con la Ue, ma anche con Cina, Canada e Messico. Come dovrebbe reagire l’Europa? Se lo domanda un’analisi richiesta dal Parlamento europeo e condotta da 6 economisti, tra i quali il sottoscritto. Lo studio, i cui risultati utilizzerò in questo articolo, è consultabile nel sito che trovate alla fine di questo pezzo.
Il primo punto dello studio è che un euro più debole rispetto al dollaro attenuerebbe la riduzione delle esportazioni europee verso gli Usa prodotta dai dazi, migliorando la competitività delle nostre aziende sui mercati globali. La flessibilità della politica monetaria è quindi uno strumento cruciale per mitigare le pressioni recessive dei dazi statunitensi. Ma una risposta mal calibrata, ad esempio un atteggiamento eccessivamente restrittivo da parte della Bce, potrebbe amplificare il rallentamento economico anziché contrastarlo. Guardando all’esperienza della prima guerra commerciale di Trump con la Cina, nel marzo 2018, lo yuan cinese (Rmb) si deprezzò del 13% rispetto al dollaro. Questo deprezzamento attenuò in gran parte l’effetto dei dazi statunitensi sulle esportazioni cinesi.
La Cina è stata e continuerà a essere un obiettivo centrale del protezionismo statunitense. Dobbiamo quindi aspettarci che il protezionismo colpirà la Cina più che l’Europa. Di conseguenza, il deprezzamento dello yuan rispetto al dollaro dovrà essere più marcato rispetto al deprezzamento dell’euro, rendendo l’euro più forte rispetto allo yuan.
L’effetto del protezionismo statunitense, e della risposta cinese, tenderanno a spingere l’Europa in recessione, ma moderatamente. Se l’euro venisse lasciato deprezzare in una posizione intermedia fra il dollaro e lo yuan, gli effetti indiretti legati al tasso di cambio più o meno si annullerebbero. La Bce ha comunque gli strumenti per contrastare eventuali effetti recessivi. E vi è sempre la possibilità di accompagnare i dazi americani con un stimolo fiscale in Europa, come già sta accadendo con le decisioni annunciate dal nuovo cancelliere tedesco.
Un uso intelligente della politica monetaria e fiscale, oltre a limitare gli effetti dei dazi, attenuerebbe le differenze fra settori. Lo studio che ho citato evidenzia ampie differenze fra settori. Ad esempio, settori come automobili, macchinari e prodotti farmaceutici, sono particolarmente vulnerabili. Un dazio del 10% ridurrebbe del 53% la domanda di questi beni. Un deprezzamento dell’euro attenuerebbe questi effetti.
Ci sono infine due rischi. Il primo è che, spinta dal desiderio politico di colpire l’industria tecnologica (dato il forte legame di alcuni imprenditori della Silicon Valley con l’amministrazione Trump), la Ue decida di adottare politiche punitive, inasprendo la regolamentazione o aumentando eccessivamente la tassazione delle piattaforme. Questa scelta, pur guidata da buone intenzioni, sarebbe un errore. Favorirebbe la crescita del settore tecnologico europeo, ma ritarderebbe l’adozione di tecnologie importate compromettendo la crescita del potenziale produttivo nella Ue.
Al contrario, una strategia incentrata sulla diversificazione degli sbocchi commerciali e sugli incentivi all’innovazione, accompagnata da flessibilità monetaria, aiuterebbe l’Europa ad assorbire gli effetti negativi delle politiche commerciali statunitensi. In particolare, rafforzare i legami commerciali con partner alternativi agli Usa e mantenere un sistema commerciale aperto e basato su regole sarà cruciale per sostenere la crescita a lungo termine.
Le forze interne che riducono il rischio di inflazione si muovono lentamente, attraverso un aumento della disoccupazione e un raffregli effetti sull’inflazione di un movimento del cambio o del prezzo delle importazioni sono rapidi.ddamento delle richieste salariali. Ma La Bce potrebbe quindi trovarsi in una situazione in cui vi è una pressione al rialzo sull’inflazione, nonostante l’inflazione di fondo sia in calo. Il principale rischio in questo scenario è che la Bce reagisca in modo eccessivo, interrompendo troppo presto l’attuale ciclo di riduzione dei tassi.
Negli Usa invece le aspettative di inflazione potrebbero muoversi rapidamente anticipando l’effetto dei dazi sull’economia statunitense. È fondamentale che la Bce mantenga il focus sullo stato dell’economia della Ue, anche se la Federal Reserve fosse costretta a muoversi in direzione opposta. Un euro più debole è una risposta naturale ai dazi americani.
In conclusione, l’Europa dovrebbe evitare reazioni protezioniste perché queste amplierebbero le tensioni commerciali, anziché alleviarle. Invece, una strategia incentrata sulla diversificazione commerciale, sugli incentivi all’innovazione e sulla flessibilità monetaria ci aiuterebbe ad assorbire le ricadute negative dei dazi americani. E soprattutto, mantenere un sistema commerciale aperto e basato su regole sarà fondamentale per sostenere la crescita a lungo termine.
Questo articolo riprende i contenuti di un lavoro commissionato dal Parlamento europeo a 6 economisti italiani dell’Università di Chicago e della Bocconi: Laura Bottazzi, Veronica Guerrieri, Guido Lorenzoni, Tommaso Monacelli, Carlo Favero e l’autore di questo articolo, Francesco Giavazzi. Il lavoro è disponibile sul sito del Parlamento europeo a questo link.
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