The Mission of Europe and America

Published in Corriere Della Sera
(Italy ) on 2 November 2008
by Mario Monti (link to originallink to original)
Translated from by Andreea Muntean . Edited by .
The future president of the United States will have to deal with a very different Europe from eight years ago, when George W. Bush came to power: a Europe that has come closer to the States, politically and institutionally, but has grown apart in public opinion.

Eight years ago, The European Union was a poor “union” compared to America. The latter had had, for two centuries, a unique market and a unique currency. Moreover, it had ended its western expansion more than one and a half centuries ago.

Europe had none of these when Bush arrived at the White House. Still, in 2002, Europe gave its citizens a unique currency. Between 2004 and 2007, it completed its “expansion” to the East. It became a global reference point for the economic machinery, perceived as such also by the American multinationals.

At the same time, the years of the Bush presidency meant growing distance between European public opinion and America. Their decisions regarding Iraq strongly divided governments, but united citizens’ opinions across all states - opinions concerning the policies promoted by the Bush administration. According to the polls, in recent years, Europe’s reluctance has translated into clear hostility, not only towards the American president, but towards the whole United States. The financial crisis, of which America is the starting point, isn’t helping much in overcoming these feelings.

John McCain and Barack Obama are well aware of the fact that the US must abandon Bush’s one-sided policies and rebuild an international reputation that matches their tradition. The European Union has to help the future American president to do just that. Now, transatlantic cooperation is utterly needed. In this respect, the last eight years have been wasted – first of all because of Bush’s reluctance to implement comprehensive policies, second, because the European Union has been rather busy building itself, rather than anything else.

Today, America, which has shed its unyielding coat of one-sided policies, along with Europe – now economically mature - have a historical mission: that of coordinating the “construction site” of global government.

Europe is able to bring two major contributions: the know-how that has been proven to be so successful after 50 years’ experience in governing a continental “globalization”, as well as a stable credibility, which is probably superior to the one of the United States.


Il nuovo Presidente degli Stati Uniti avrà a che fare con un’Europa diversa da quella di otto anni fa, quando entrò in carica George W. Bush: un’Europa che si è avvicinata agli Stati Uniti come soggetto politico e istituzionale, ma se ne è allontanata sul piano dell’opinione pubblica.

Otto anni fa l’Unione Europea era un’«unione» ben povera di contenuti, rispetto agli Stati Uniti. Questi avevano da due secoli un mercato unico e una moneta unica; avevano completato da un secolo e mezzo l’espansione verso Ovest; avevano da mezzo secolo una leadership incontestata nel determinare le regole del gioco delle imprese sul piano globale. L’Europa non aveva niente di tutto ciò, quando Bush entrava alla Casa Bianca. Ma nel 2002 l’Unione Europea ha dato ai suoi cittadini una moneta unica. Da qualche anno ha dato alle imprese un effettivo mercato unico. Tra il 2004 e il 2007 ha completato la sua «espansione» verso Est. È divenuta punto di riferimento globale per la regolazione economica, percepito come tale anche dalle multinazionali americane.

Certo, la Ue non è paragonabile agli Stati Uniti per unità politica, influenza strategica o potenza militare. Ma, attraverso l’integrazione, si è avvicinata ad essi per peso economico e monetario e per influenza sulla governance dell’economia.

Al tempo stesso, gli anni di Bush hanno allontanato l’opinione pubblica europea dagli Stati Uniti. Le decisioni americane sull’Iraq hanno profondamente diviso i governi ma hanno unito le opinioni pubbliche dei diversi Paesi, contro la politica di Bush. Negli ultimi anni, secondo i sondaggi, tale avversione si sarebbe tradotta in un diffuso sentimento di freddezza o ostilità non solo verso il Presidente, ma anche verso gli Stati Uniti. A ciò hanno concorso atteggiamenti unilaterali che sono parsi non in linea con le responsabilità globali dell’America, in particolare in materia ecologica. La crisi finanziaria, propagatasi nel mondo dagli Stati Uniti, non aiuta a superare questi sentimenti.

John McCain e Barack Obama sono consapevoli che gli Stati Uniti devono abbandonare l’unilateralismo di Bush e ricostruirsi una reputazione internazionale all’altezza della loro tradizione. L’Unione Europea, anche a livello di opinione pubblica, deve aiutare il nuovo Presidente in questo difficile compito. Una forte cooperazione transatlantica è più necessaria che mai, ora che la crisi ha aperto finalmente gli occhi sull’urgenza di dare una solida governance pubblica alla globalizzazione dei mercati.

Rispetto a questa esigenza, gli ultimi otto anni sono stati sostanzialmente perduti: in primo luogo per la riluttanza di Bush nei confronti del multilateralismo, ma anche perché la Ue era piuttosto introversa, assorbita dall’opera di costruire se stessa. Oggi, un’America che si scrolli di dosso il velleitario manto unilaterale di Bush e un’Europa divenuta adulta come potenza economica hanno un appuntamento storico: guidare il cantiere della governance globale.

Solo gli Stati Uniti possono apportare a questo cantiere l’impulso fondamentale della loro ritrovata volontà multilaterale. Ma l’Europa può dare due apporti altrettanto fondamentali: il know how, che solo essa ha per avere governato con successo per cinquant’anni una «globalizzazione» su scala continentale; e una credibilità che agli occhi degli altri attori da coinvolgere, a cominciare dalla Cina, è oggi probabilmente superiore a quella degli Stati Uniti.
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