Here we go again: Obama is meeting with the Dalai Lama, China is snarling and we are witnessing another unpleasant intercontinental exchange. Shortly, everything will return to how it was before. The triangle between the U.S., China and the Dalai Lama has now become an international custom. From this meeting, it is believed that all parties will benefit in, naturally, diverse ways.
The United States, upon listening to the spiritual leader of one of the most sensitive regions in Beijing, feels the need to respond to international requirements, emphasizing in particular the question of human rights and the linguistic and cultural autonomy of Tibet. Obama and the Dalai Lama’s meeting allows Washington to emerge as a state able to stress a clear and precise distance with respect to their rival, but obligatory economic ally.
The resentment taken in turn by the Chinese has a function that is mostly internal. Beijing maintains a national stance that they are immovable over Tibet and that they must remain involved, especially during this period of economic and social transformation. With this, there is the new “Chinese dream,” the slogan of Xi Jinping, which requires a vigilant China that is able to communicate on equal ground with the United States. Of course, the Tibetan spiritual leader also has something to gain: These types of meetings allow him to maintain, at least for a few days, international attention on the Tibetan region, emphasizing the necessity of being vigilant regarding what has happened recently in the area, which is often closed off in an airtight manner from Chinese authorities. They convene at a little theater that is used every time the Dalai Lama finds himself meeting with any foreign leaders. It is good to remember that prime ministers and presidents, once they arrive in Beijing, forget about Tibetan requests and put on the table whatever most appeals to the Chinese treasure chest, looking to avoid any words that would be suspect to Chinese ears.
As we saw yesterday, the National Security Council spokeswoman, Caitlin Hayden, emphasized that the United States considers Tibet to be part of China, adding, however, that they are “concerned about continuing tensions and the deteriorating human rights situation in Tibetan areas of China.” A request to cancel the meeting had arrived from Beijing because they were afraid that it would cause “serious damage” to relations between the two countries, constituting interference in China’s internal affairs. The occasion, Beijing specified, “will seriously damage Sino-U.S. relations. We urge the United States to take seriously China’s concerns, immediately cancel plans for the U.S. leader to meet the Dalai, do not facilitate and provide a platform for Dalai’s anti-China separatist activities in the United States.”
The meeting came at a delicate moment for Sino-American relations. The United States has expressed worry regarding China’s behavior in the East China Sea and the South China Sea, and Beijing fears that Obama’s strategic pivot to Asia could cause damage to its interests in the region.
Plus, yesterday an American Navy official maintained that the Chinese are preparing a blitzkrieg of the disputed anti-Japanese islands, a hypothesis mitigated by other officials and then categorized as coming from the rumor mill that, ultimately, two armies seemed to forage.
However, “at the same time,” Reuters points out, “both countries are increasingly interdependent and have to cooperate on international issues such as Iran and North Korea. China is also the United States’ biggest foreign creditor. As of July 31, China held $1.28 trillion in U.S. treasury bonds, according to Treasury Department data.”
Usa/Cina. Pechino - come al solito - irritata: «Danni seri alla relazione con Washington»
Ci risiamo: Obama incontra il Dalai Lama, la Cina ringhia, si assiste ad uno scambio di battute intercontinentale e tutto a breve tornerà come prima. È ormai una consuetudine internazionale, il triangolo Usa, Cina e Dalai Lama. Da questi incontri, infatti, ne giovano tutte le parti, in modo naturalmente diverso.
Gli Stati uniti, attraverso l’audizione del leader spirituale di una delle regioni più sensibili per Pechino, si sentono di rispondere alle esigenze internazionali, di sottolineare la questione dei diritti umani e l’autonomia linguistica e culturale tibetana. L’incontro di Obama con il Dalai Lama, permette a Washington di apparire uno Stato in grado di sottolineare una distanza netta e precisa rispetto al proprio rivale, ma stretto alleato economico.
Le astiose prese di posizione cinesi, a loro volta, hanno una funzione per lo più interna. Pechino soddisfa così un’opinione nazionale che sul Tibet ha una posizione irremovibile e che va quindi curata, specie in questa fase di trasformazioni economiche e sociali. Insieme a questo c’è il Nuovo Sogno cinese, lo slogan di Xi Jinping, che richiede una Cina vigile e in grado di comunicare a pari livello con gli Stati Uniti. Naturalmente un tornaconto c’è anche per il leader spirituale tibetano: questo genere di incontri gli permette di mantenere alta, almeno per qualche giorno, l’attenzione internazionale sulla regione tibetana, sottolineando la necessità di vigilare su quanto accade in una zona, spesso chiusa ermeticamente dalle autorità cinesi. Un teatrino che conviene a tutti e che si consuma ogni qual volta il Dalai Lama trova udienza presso qualche leader straniero. Primi ministri o Presidenti, è bene ricordare, che una volta giunti a Pechino dimenticano le istanze tibetane, mettendo sul tavolo tutto quanto può essere appetibile per i dollari dei forzieri cinesi, cercando di evitare ogni parola sospetta alle orecchie dei cinesi.
Quanto all’incontro di ieri, la portavoce del Consiglio nazionale di Sicurezza, Caitlin Hayden, ha sottolineato che gli Stati Uniti considerano il Tibet come parte della Cina, aggiungendo però che sono «preoccupati per le continue tensioni e il deteriorarsi della situazione dei diritti umani nelle regioni tibetane della Cina». Da Pechino era arrivata la richiesta di annullamento dell’incontro, perché avrebbe fiito per provocare «danni seri» alle relazioni tra i due Paesi, costituendo un’interferenza negli affari interni cinesi. L’occasione, ha specificato Pechino, «danneggerà seriamente le relazioni sino-americane. Esortiamo gli Stati Uniti a prendere sul serio le preoccupazioni della Cina, annullare immediatamente i piani per il leader degli Stati Uniti di incontrare il Dalai, non facilitare e fornire una piattaforma per le attività separatiste anti-Cina del Dalai negli Stati Uniti».
L’incontro è arrivato in un momento delicato per le relazioni sino-americane. Gli Stati Uniti hanno espresso preoccupazione per il comportamento cinese nel Mar Cinese Orientale e Mar Cinese Meridionale, anche perché Pechino teme che la strategia pivot to Asia di Obama possa procurare danni ai suoi interessi nella regione.
E ieri un ufficiale della Marina americana avrebbe sostenuto che la Cina starebbe preparando una guerra lampo di occupazione delle isole contese in funzione anti giapponese, ipotesi ammorbidita da altri ufficiali e quindi catalogabile nella risma di dicerie che ultimamente i due eserciti sembrano foraggiare.
Allo stesso tempo, però, come sottolinea Reuters, «i due paesi sono sempre più interdipendenti e devono cooperare su questioni internazionali come l’Iran e la Corea del Nord. La Cina è anche il maggior creditore estero degli Stati Uniti. Fino al 31 luglio, la Cina deteneva 1.280 miliardi di dollari in titoli del Tesoro Usa, secondo i dati del Dipartimento del Tesoro».
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The economic liberalism that the world took for granted has given way to the White House’s attempt to gain sectarian control over institutions, as well as government intervention into private companies,
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