Gli Usa alla prova della storia
Continua la guerra delle statue
Charlottesville è una cittadina tranquilla, una di quelle costruite in mattoni rossi a fine ottocento e rimaste immutate nel tempo. A turbare la vita di questo piccolo centro è però la statua del generale sudista Robert Lee, che la sinistra americana vorrebbe rimuovere, ritenendola un simbolo razzista. Un progetto contrastato dalla associazioni a difesa della “memoria storica”, che dopo aver ingaggiato una lunga battaglia legale, in queste ore hanno ottenuto un’importante vittoria.
Per mesi, infatti, la statua era stata coperta da alcuni teloni neri, studiati per schermarne la vista e non “urtare” le persone di colore. Un giudice però, li ha ritenuti illegali e ne ha così ordinato la rimozione. “Tutto è cominciato quando l’amministrazione cittadina ha deciso che la figura di Robert Lee non fosse ‘politicamente corretta’ – racconta l’avvocato Lewis Martin, membro dell’associazione ‘Save the Robert Lee statue’ – ed ha pensato di dar vita ad una commissione che individuasse tutti i monumenti ‘razzisti’, così da rimuoverli. Da quel momento è partita una spirale di proteste e contro proteste, organizzate da gruppi dell’Alt Right e dell’estrema sinistra americana, culminate poi nei tragici scontri del 12 agosto che hanno portato alla morte di una donna. Qui però – ci tiene a pecisare Martin – la questione non è essere razzisti o meno, bensì voler difendere un importante pezzo della nostra storia”.
Tra le colline e le piantagioni della Virginia, infatti, sarebbero in molti ad poter vantare una discendenza diretta dai soldati confederati che combatterono per difendere gli stati del Sud durante il tentativo di secessione. “Fin da quando ero piccolo – ricorda Martin – mi è stato insegnato quanto la figura del Generale Lee fosse una figura positiva. Quella di un soldato che compie il suo dovere ma senza odio o risentimento, ed anzi, a guerra finita si impegna per rimettere insieme i pezzi di una nazione lacerata dalla guerra civile. Oggi invece la sinistra ‘liberal’ vorrebbe cancellare Lee dalla storia, addossandogli tutte la colpe dello schiavismo e della segregazione. Colpe di cui era però innocente”.
Il problema, secondo Martin, sarebbe il voler applicare in maniera talebana la morale dei giorni nostri al passato. “Fortunatamente la nostra associazione è riuscita, per ora, a bloccare la rimozione della statua, ma il punto è che non si possono giudicare i personaggi storici con i canoni morali odierni. Cosa dovremmo dire allora di Giulio Cesare? La storia è storia, e queste persone che vogliono abbattere le statue ed i monumenti dei ‘vinti’ non mi sembrano agire diversamente da come fece l’Isis a Palmira nel 2015, distruggendo il sito archeologico con esplosivi e martelli. Vogliono cancellare la storia, strapparne via una pagina. E quando non ci riescono sono pronti addirittura ad inventarsi soluzioni fantasiose come quella dei sacchi neri per impedire la vista del monumento. Dei veri e propri burka”.
Un’opinione condivisa anche dalla maggior parte delle persone intervistate per strada, seppur con qualche eccezione. Nella via principale di Charlotesville, infatti, le persone a passeggio tra i ristoranti ed i piccoli negozietti, sembrano avere pochi dubbi: “Il generale Lee è un pezzo della nostra storia e abbattere la sua statua sarebbe un errore” sentenzia una donna sulla cinquantina. “Credo che sia un modo per distogliere l’attenzione dai problemi reali” dichiara un’altra. “Fu un eroe di guerra, non uno schiavista” sottolinea il suo compagno.
I giudizi su Lee, ed il passato confederato, cambiano tuttavia quando a parlare sono persone non originarie di Charlottesville. “La statua è un simbolo di aggressione razzista, un modo con cui i bianchi tenevano la popolazione nera sottomessa” è l’opinione di un professore universitario indiano, da alcuni anni stabilitosi in città per lavoro.
E la spiegazione del perché di questa visione diametralmente opposta sembrerebbe fornirla sempre Lewis Martin: “La maggior parte delle persone favorevoli alla rimozione della statua non ha un legame con questa zona e la sua storia. Arrivano da fuori. Alcuni sono professori venuti ad insegnare all’Università della Virginia, altri sono studenti progressisti che sanno poco o nulla della Guerra Civile americana. A tutti però consiglierei di lasciare da parte le visioni ideologiche e di aprire un libro di storia”.
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