The arrival of Saudi troops in Bahrain caused a conflict with consequences that the security forces of the al Khalifas, the royal family of the small gulf state, was prepared to handle.
Iran, like America, condemned the actions of Riyadh and threatened consequences. The two powers have conflicting interests that are intertwined in a complex web of relations among Saudi Arabia, Iran and America that involve security in the Persian Gulf and the struggle for hegemony in the Middle East.
Washington has a back-up naval base in Bahrain for the Fifth Fleet, which is responsible for naval forces in the Gulf. The ships are on orders to patrol the Persian Gulf in defense of Saudi Arabia and their petroleum interests (America imports 13 percent of its crude from Riyadh). In geopolitical terms, the Persian Gulf is of vital importance. Twenty percent of the world’s oil comes from this area, adding up to roughly 17 million barrels a day shipped out to Europe and the U.S.
Iranian action in the Gulf could stop the supply (an initiative which was attempted and failed in 1988) with the consequences of raising the price of oil and impacting international markets — a scenario that the U.S. and Europe hope to avoid.
At a political level, intervention in Riyadh that came about without approval from Washington threatens the already precarious equilibrium that governs the Gulf. The Fifth Fleet is a deterrent to any Tehran offensive and is currently maintaining the security of Riyadh. The Saudi intervention to save the monarchy of Bahrain threatened the status quo and cost those who supported Hamad al Kalifa, King of Bahrain, the little bit of legitimacy they had in the eyes of his subjects, giving Iran the possibility of presenting itself as an (unlikely) defender of democracy.
Bahrain is also the epicenter of a conflict between Sunni and Shiites. This is evidenced by a recent poll done by Zogby, an American polling company. Iranian president Mahmoud Ahmadinejad and Lebanese Hezbollah leader Hassan Nasrallah were identified as the most popular leaders among the Shiites. Former Egyptian President Mubarak, a Sunni who was deposed during the revolts, came in third.
Perché la rivoluzione in Bahrein preoccupa sia l'America che l'Iran
L’arrivo delle truppe saudite in Bahrein ha causato un conflitto con conseguenze più ampie della sicurezza degli al Khalifa, i reali del piccolo stato del Golfo.
L’Iran, come l’America, ha condannato le azioni di Riad minacciando conseguenze. I motivi d’interesse delle due potenze sono però opposti e s’intersecano in una rete più fitta di rapporti tra Arabia Saudita, Iran, America, sicurezza nel Golfo e lotta per l’egemonia in medio oriente.
Washington ha in Bahrein la base navale d’appoggio della quinta flotta americana. Le navi hanno il compito di pattugliare il Golfo persico in difesa dell’Arabia Saudita e dei propri interessi petroliferi (l’America importa il 13 per cento del greggio da Riad). In termini di geopolitica, il Golfo persico è di vitale importanza perché è il luogo dove transita quasi il 20 per cento del petrolio mondiale, una media di 17 milioni di barili al giorno in direzione dell’Europa e dell’America.
Un’azione iraniana nel Golfo, insomma, potrebbe fermare le forniture (tentativo già avvenuto e fallito nel 1988) con la conseguenza di far alzare il pezzo del petrolio e avere effetti sui mercati internazionali. Scenario che sia gli Stati Uniti che l’Europa vogliono evitare.
A livello politico l’intervento di Riad, avvenuto senza la consultazione di Washington, minaccia gli equilibri precari che governano il Golfo. La quinta flotta è un deterrente a qualsiasi tentativo di Teheran e rende sicuro il governo di Riad. L’intervento saudita per salvare la monarchia del Bahrein minaccia lo status quo e ha fatto perdere la poca legittimità di cui ancora godeva Hamad al Kalifa, re del Bahrein, agli occhi dei suoi sudditi, dando la possibilità all’Iran di mostrarsi come (improbabile) difensore della democrazia.
Il Bahrein è anche l’epicentro di un confronto tra sunniti e sciiti. E’ indicativo un recente sondaggio di Zogby, centro d’opinioni statunitense, che ha identificato come leader più popolari il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad e il leader dell’Hezbollah libanese Hassan Nasrallah, entrambi sciiti. Mubarak, l’ex presidente egiziano deposto dalla rivolta, un sunnita, era il terzo.
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