OPD 6/13
Edited by Lydia Dallett
Quante insidie per Barack Obama
Finora se ne era sentito parlare solo negli ambienti repubblicani. Ma ora timori e perplessità sulla sorte elettorale di Obama si insinuano tra gli stessi democratici, al punto da far loro infrangere per la prima volta un vero e proprio tabù. La vittoria del repubblicano Mitt Romney non viene infatti più data come improbabile, ma anzi come una concreta possibilità. Lo confermano impietosamente i sondaggi. E l’ultima previsione pubblicata il 7 giugno dal New York Times assegna a Obama solamente 2 punti di vantaggio, con un margine che potrebbe andare a vantaggio di Romney se interverranno altre cattive notizie sull’economia. D’altra parte i fatti parlano chiaro. Rispetto solo a qualche settimana fa, Obama viene considerato politicamente sempre più debole, mentre Romney lo incalza come su un ring di pugilato. A differenza di Bush padre che ne sottovalutò il valore e per questo nel 1992 perse la rielezione alla Casa Bianca, Obama riconosce certo il preciso significato della celebre formula di Bill Clinton «It’s the economy, stupid». L’attuale presidente non vuole passare da stupido ma la variabile semi-indipendente dei disastri dell’economia interna e internazionale lo avvolge, minacciando sempre più di soffocarlo. Gli ultimi dati sull’economia nazionale, in particolare sulla creazione di posti di lavoro nel settore privato, sono deludenti. Inoltre Obama è pienamente consapevole del fatto che nella storia moderna degli USA dopo il 1936 nessun presidente è mai stato rieletto con un tasso di disoccupazione superiore al 7%. Obama ne è talmente preoccupato che negli ultimi tempi è sembrato quasi usare la crisi europea come alibi e fonte di tutti i mali, ben sapendo di giocarsi la rielezione anche in base a ciò che succederà in Europa e sugli effetti che ne deriverebbero per l’economia americana. Ma dire preoccupato è poco. Obama è letteralmente ossessionato dalla possibilità che gli Stati Uniti avvertano dall’attuale crisi le stesse conseguenze causate dalla Grande Depressione del 1929. Non a caso in un recente video della sua campagna elettorale dal titolo The road we’ve traveled (La strada che abbiamo percorso) la parola collapse compare per ben 17 volte e le leggendarie immagini della vittoria del 2008 sul palco a Chicago con la moglie Michelle e le figlie Sasha e Malia, sono accompagnate da sequenze focalizzate sugli uffici della Lehman Brothers con i dipendenti licenziati che sgombravano i loro uffici, nonché sugli effetti della crisi immobiliare e sui fotogrammi in bianco e nero della Grande Depressione. Per questo Obama mira a rassicurare l’elettorato che nessuno meglio di lui sa comprendere i disagi legati ai problemi economici, ma nello stesso tempo sa di dover trasformare la gara presidenziale da un referendum incentrato sulla sua gestione dell’economia (da cui uscirebbe a pezzi) in una scelta tra le differenti proposte di soluzione offerte da ciascun candidato su come amministrare la crisi.
L’altra grande ossessione in cui il presidente democratico si sta dibattendo si chiama Corte Suprema. Obama teme il pronunciamento della Corte sulla riforma sanitaria, atteso per la fine di questo mese. Tre sbocchi sono visti come possibili. I giudici potrebbero dichiarare la riforma compatibile con la Costituzione oppure respingerla in toto, oppure ancora dichiarare incostituzionali le parti più fragili e controverse. Le ultime due opzioni sarebbero ovviamente devastanti per la presidenza Obama. La stessa Corte potrebbe inoltre essere chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dei matrimoni gay. In quest’ambito la posizione del presidente si sta rivelando complicata. È vero infatti che Obama si è dichiarato a favore delle unioni tra persone dello stesso sesso, ma ha anche mostrato la convinzione che la questione non vada risolta a livello federale, ma Stato per Stato. Una situazione destinata con ogni probabilità a generare un groviglio di contraddizioni legali, di fronte alle quali l’ultima parola spetterebbe appunto alla Corte suprema. Ma la vera prova del nove sui futuri esiti elettorali verrà dai cosiddetti swing States, gli Stati incerti: Colorado, Florida, Iowa, North Carolina, New Hampshire, Nevada, Ohio, Pennsylvania e Virginia. Insieme valgono 120 dei 538 voti alle elezioni presidenziali di novembre. Non a caso le campagne elettorali di Obama e di Romney li stanno sommergendo di messaggi pubblicitari con un dispendio di fondi che da ieri potranno essere raccolti anche via sms e che vedono il candidato repubblicano in testa, come un nuovo Rockfeller.
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