Il tormentone degli ultimi tempi, nel calvario che sono diventate le primarie del partito democratico in America, è l’accusa a Obama da parte della Clinton di essere «elitario». Non c’è niente da scherzare, perché sono in gioco i voti di milioni di lavoratori (bianchi) la cui idea di divertimento è guardare il football in televisione rimpinzandosi di nachos e birra rigorosamente domestica; quindi siamo costretti al doloroso spettacolo di Obama, dottore in legge a Harvard e senatore dell’Unione, che, in maniche di camicia, trinca lattine di Budweiser e si esibisce al bowling (con pessimi risultati) o alla pallacanestro (un po’ meglio). Ma, siccome al peggio non c’è fine, un paio di giorni fa questa tragica storia ha avuto un nuovo (e deteriore) sviluppo.
Il problema numero uno è lo stato disastroso dell’economia nazionale. Di questo disastro, che investe occupazione, inflazione, mutui sulle case e credito, è diventato simbolo il prezzo della benzina: un nuovo record ogni giorno. John McCain ha avuto la brillante idea di proporre la sospensione delle tasse sul carburante (18 centesimi al gallone, su un prezzo che supera i quattro dollari, e comunque è la metà che in Europa) per l’estate. Gli economisti ci hanno riso sopra (un ex ministro del Tesoro ha definito la proposta «stupid and dumb»): ammesso che la riduzione rimanga stabile, una famiglia risparmierebbe 25/30 dollari in tre mesi (circa metà del costo di un pieno), ma è probabile che invece, con un prezzo leggermente ridotto, salirebbe la domanda e quindi anche il prezzo, mangiandosi i 18 centesimi che prima andavano all’erario (e quindi alla riparazione di strade, ponti…). E in ogni caso è uno specchietto per le allodole, perché i candidati non hanno il potere di operare questa riduzione, né l’amministrazione Bush sembra intenzionata ad assecondarli. La Clinton, però, si è trovata subito d’accordo con McCain. E quando qualcuno le ha chiesto quale economista pensasse che la loro fosse una buona idea, ha risposto: «Io non sto a sentire gli economisti. Non sono elitaria. M’interessa quel che pensa la gente».
Socrate e Platone sostenevano che la democrazia fosse un errore. Se sono malato, ragionavano, non faccio un sondaggio fra i miei amici per sapere come curarmi, ma vado da un medico, e magari dallo specialista che ne sa, sulla mia malattia, più di chiunque altro, e il suo parere, il parere di una sola persona, conta per me più di quello delle moltitudini. Perché dovremmo comportarci diversamente, chiedevano, quando si tratta della cosa pubblica? Perché dovremmo pensare che in questo caso le moltitudini vedano più chiaro degli esperti?
Il suffragio universale è solo metà della democrazia; l’altra metà è l’educazione. Solo se i cittadini sono messi in condizione di sapere e capire quel che fanno, il loro voto ha un significato autenticamente democratico. Altrimenti, qualunque imbonitore dica quel che a loro fa piacere sentire l’avrà vinta nel loro consenso. I cittadini americani questo lo capiscono quando si tratta di andare dal medico, o anche di scegliere i migliori giocatori di football. Perché dunque, quando si tratta di scegliere un leader, preferiscono persone come Bush, con cui si sentirebbero a loro agio bevendo una birra ma che nella vita non hanno dimostrato nessuna competenza o capacità? Perché è una critica dire che Obama è un politico «di élite», o che lo sarebbe chi ascoltasse gli economisti, ma non lo è dire che Kobe Bryant è un giocatore «di élite»? Forse perché questi cittadini sono meglio educati a capire i fondamentali del basketball che della vita associata?
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