But Does America Deserve Obama?

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C’è un Paese che si è reso conto di non essere al di sopra della società delle Nazioni ma di farne parte

Da tempo credo che il resto del mondo debba avere lo stato giuridico di osservatore ufficiale del Congresso Usa. Le decisioni prese a Washington, infatti, possono avere un impatto nella vita degli abitanti di Paesi anche molto lontani maggiore di quelle prese nelle loro rispettive capitali. I pachistani, i venezuelani, i palestinesi, per esempio, per la loro stessa sopravvivenza sono obbligati a seguire da vicino il mutare e l’alternarsi delle maree della politica estera americana. A seconda di chi siede alla Casa Bianca, i giovani britannici o italiani saranno obbligati a recarsi all’estero ad ammazzare e a farsi ammazzare, oppure resteranno a casa loro a fare l’amore e a guadagnarsi di che vivere. Tutto ciò spiega l’enorme attenzione che in tutto il mondo destano le elezioni del presidente degli Stati Uniti: si tratta nello specifico delle elezioni più importanti della nostra epoca e non è così scontato che gli americani effettuino la scelta giusta. Dopo che nel 2000 la Corte Suprema assegnò a George W. Bush la vittoria, furono molte le richieste di convocare osservatori stranieri per monitorare da vicino lo svolgimento delle elezioni, come potrebbe accadere nello Zimbabwe.

Gli Stati Uniti sono effettivamente in crisi: stentano a rendersi conto che il XXI secolo non è di loro esclusiva proprietà, come è stato per il XX secolo. I loro studenti liceali si classificano agli ultimi posti dei rilevamenti internazionali sull’educazione e l’istruzione dei Paesi sviluppati. La metà dei liceali delle grandi città americane non consegue il diploma. Soltanto un terzo dei giovani è effettivamente in grado di frequentare l’università. Una buona parte dei giovani che abbandonano gli studi finisce in prigione: gli americani rappresentano il 5 per cento della popolazione terrestre, ma sono americani un quarto dei prigionieri di tutto il mondo. Cinquanta milioni di americani sono privi di copertura sanitaria, e vivono nel terrore di ammalarsi.

Nelle elezioni, queste questioni di cruciale importanza non ricevono tutta l’attenzione che meriterebbero da parte della stampa, specialmente della televisione, che è interessata a dettagli assolutamente banali, come sapere se Obama indossa la spillina con la bandiera Usa o se Clinton ha mentito sul fatto di essere scampata in Bosnia ai cecchini. Eppure, la portata dell’emergenza nella quale vive il Paese l’avvertono gli americani sulla loro pelle, quando perdono le loro case, vedono svanire nel nulla i loro risparmi, restano impantanati in una guerra che nessuno sarà in grado di vincere in un immediato futuro. L’81 per cento degli americani crede che il loro Paese sia sulla rotta sbagliata e il presidente in carica ha raggiunto il più basso indice di gradimento della storia.

Barack Obama afferma che l’America ha ancora qualche possibilità. Il suo discorso sul problema razziale intitolato ‘Verso un’unione più perfetta’ non ha precedenti in fatto di irreprensibilità, franchezza e complessità. Quale altro politico americano ha mai citato uno scrittore in un discorso elettorale? Obama ha ricordato Faulkner: “Il passato non è morto e sepolto. Di fatto non è nemmeno passato”. Questo è un livello di raffinatezza al quale gli americani non sono abituati nei discorsi elettorali dei candidati. Non stupisce, pertanto, che Obama sia spesso definito un ‘elitista’. In buona parte del Paese prevale un dilagante anti-intellettualismo. Esempio celebre di questo anti-intellettualismo fu un discorso di un senatore del Nebraska, Roman Hruska, nel 1970. Cercando di sostenere che un giudice reputato palesemente mediocre dovesse essere nondimeno nominato per la Corte Suprema disse: “Che importa se è mediocre? Ci sono moltissimi giudici, moltissime persone e moltissimi avvocati mediocri. non hanno anche loro il diritto ad avere una piccola rappresentanza?”.

Il modo in cui Hillary Clinton ha gestito la sua campagna elettorale ha sconcertato più d’uno di coloro che avrebbero potuto appoggiarla. La sua minaccia di “annientare” l’Iran qualora Teheran decidesse di attaccare Israele ha fatto sì che la gente si chiedesse se è poi tanto diversa da George Bush. Da molti punti di vista, Hillary è sicuramente meglio di Obama, ad esempio per il fatto di essere propensa a estendere a tutti l’assistenza sanitaria, una scelta logica per un Paese che si ripropone di essere considerato civile.

Ma un’eventuale elezione di Obama alla presidenza non ha molto a che vedere con la politica, quanto piuttosto con un’idea di America, quell’America multi-razziale, quella meraviglia composita e multiforme di colori e sfumature di pelle che si vede circolare per le strade di New York. Obama è un candidato nato da madre bianca del Kansas, da padre nero del Kenya, con un patrigno musulmano indonesiano, che non solo ha viaggiato molto, ma ha anche vissuto all’estero. Obama rappresenta l’America che si è finalmente resa conto di non essere al di sopra della comunità delle nazioni, ma di farne parte.

In definitiva, la questione non è se Obama meriti o meno la vittoria, ma se l’America si meriti un presidente del calibro di Obama, se i suoi elettori siano abbastanza colti e raffinati da eleggerlo. Questa elezione è troppo importante, per l’America e per il mondo intero, perché a decidere siano i mediocri.

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