Tutti a Davos hanno criticato il recente modello di sviluppo americano, rivolto alla crescita sostenuta dai consumi privati e all’uso eccessivo della leva finanziaria. Cinesi, russi ed europei hanno fatto gara per attaccare le “malefatte” di questo sviluppo disordinato che ha portato, alla lunga, alla sua insostenibilità.
Il premier cinese ha fatto presente di essere pronto a spostare il suo modello dall’export ai consumi interni, ma ha dovuto ammettere che il processo sarà lungo e penoso perché Pechino non ha sistemi pensionistici e di sanità pubblica paragonalibili a quelli europeri, senza i quali, con i redditi medi cinesi, non si spende, ma si è costretti a risparmiare per il futuro. Anche il premier russo Vladimi Putin ha fatto la voce grosssa, ma poi ha dovuto ammettere che nell’attuale situazione di crisi siamo tutti nella stessa barca e che Mosca farà di tutto per garantire la sicurezza energetica con la costruzione di altri gasdotti che arrivino direttamente ai mercati europei senza fratture geografiche (leggi Ucraina e Georgia). Bene, ma ancora poco cosa rispetto alle necessità di questa crisi che ha distrutto assets pari a 10mila miliardi di dollari in un anno.
Anche l’Europa ha promesso molto ma fatto ancora poco. Soprattutto noon ha saputo darsi una voce univoca: il rischio è una polifonia di piani di sostegno nazionali diretti ai propri campioni nazionali.
Molti dei 2.500 partecipanti al World economic forum di Davos alla fine dei quattro giorni di discussioni (per una volta molto concreti) sperano che a prendere il posto del consumatore americano siano i consumi pubblici di Washington: insomma tutti sperano che i piani di stimolo del presidente Obama (Tarp 1 e 2) funzionino e rapidamente: il motore della crescita mondiale, quando arriverà (nessuno fa previsioni precise) partirà ancora una volta dall’altra sponda dell’Atlantico. Davos chiude i lavori ma a mancare era proprio l’amministrazione Obama, il convitato di pietra di ogni sessione tra la nevi svizzere. Dopo i banchieri Usa ormai dimenticati, si attendono l’anno prossimo i rappresentanti della nuova amministrazione americana. Come sempre.
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